SUN KIL MOON, Tiny Cities (Rough Trade / Self, 2005)

Parlando con gli appassionati di musica, spesso si capitava nell’argomento Modest Mouse. Un gruppo di cui tutti osannano le capacità melodiche, le intuizioni sonore e il sapersi destreggiare all’interno del panorama indie con una personalità ormai consolidata. Nessuno mi ha mai detto qualcosa sui testi. Nemmeno io. In fondo, perché avrei dovuto? Le canzoni di Isaac Brock sembravano fatte per essere ascoltate e basta. Inguaribili cazzoni, i topi, altroché!

A minare queste certezze arriva Mark Kozelek che, per il secondo disco a nome Sun Kil Moon, decide di reinterpretare alla sua maniera undici brani del repertorio dei Modest Mouse. Ed ecco che si apre una porta verso un universo tuttora inesplorato. Sì perché a differenza della pletora di incompetenti che popolano le pagine più trendy dell’indie contemporaneo, i testi dei Modest Mouse hanno un senso e un significato. Parlano di sogni infranti, di fuga, di paradossi, di fatalismo. L’ironia qui si riduce al minimo storico e i paesaggi sonori sono affidati alle chitarre acustiche di Kozelek, da sempre specializzato nel ricreare immaginari ben determinati con un solo tocco strumentale.

Ascoltate “Tiny Cities Made Of Ashes”, “Jesus Christ Was An Only Child” e “Ocean Breath Salty” e potrete convenire con me che questo disco è necessario per svariate ragioni. Perché ci offre la possibilità di vedere un gruppo musicale di cui abbiamo una certa immagine da un punto di vista totalmente inedito. Perché le riletture folk à la Sun Kil Moon vestono queste canzoni di un vestito tanto scarno quanto affascinante. Perché ascoltare la voce di Mark Kozelek è sempre un’esperienza da voler affrontare. Ed è buffo pensare a come certe cose possano sembrare molto più credibili cantate da lui anziché dal solito nerd vagamente sovrappeso.

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