SOFA SURFERS, Sofa Surfers (Klein / Audioglobe, 2005)

L’ultima volta che i “nomadi da divano” (è una loro definizione) erano stati avvistati era nel 2002, il viaggio si chiamava “Encounters” e i viennesi avevano lasciato che le loro ambientazioni elettroniche urbane, da “neo-salotto stereofonico” come si diceva, si contaminassero con l’hip-hop. Un mix, insomma, di trip e hip (hop). Li ritroviamo ora, è trascorso un rilevante lasso di tempo e sì, in effetti i Sofa Surfers sono cambiati un totale. La veste musicale si è fatta più rock, con un suono presente ed essenziale, con l’elettronica ridotta all’osso. Ma soprattutto la svolta più marcata l’ha data la voce: i Sofa Surfers hanno fatto cantare tutto l’album a tale Mani Obeya, cantante, ballerino e coreografo americano in trasferta a Vienna, e il tutto ha assunto una connotazione più soul, più black. I Living Colour un po’ meno arrabbiati, insomma. E neanche poi così arrendevoli, perché “One Direction” si scambierebbe davvero per una song dei neri newyorkesi.

Non si può giudicare se la scelta sia giusta o sbagliata, semplicemente metterà in crisi i negozianti di dischi che dovranno mettere i primi tre album nello scaffale “Elettronica” e questo quarto cd omonimo nel “Rock”. A loro non interesserà nulla che le atmosfere siano rimaste claustrofobiche, istintive, ipnotiche: non si è mai visto il ripiano “Musica Claustrofobica” o robe del genere. Interesserà però forse saperlo a chi già seguiva i surfers del sofà: ecco, la cornice all’interno della quale si muovevano i nostri, quella della psichedelia scura da camera, è rimasta. Merito della sezione ritmica, basso e batteria che ipnotizzano con tempi e giri anche molto tecnici, come ad esempio in “Believer”, ma che riescono ad essere sostanziali e molto presenti come se suonassero lì di fronte all’ascoltatore. Le chitarre invece lavorano molto sugli arpeggi come facevano per certi versi gli Skunk Anansie, mentre in alcuni casi soppiantano ciò che precedentemente era prerogativa del campionatore (“Good Day To Die”, che sembra quasi un pezzo alla Two Lone Swordsmen).
Sarà un parallelo un po’ campato in aria, ma la musica dei Sofa Surfers è permeata di quella essenzialità drammatica che rappresentava su tela un loro concittadino, Schiele. Se infatti i S.S. fossero dei pittori modernisti viennesi invece che dei musicisti (modernisti viennesi) dipingerebbero in maniera più simile alla disperazione spigolosa di Schiele che alla serenità decorativa dell’altro illustre austriaco Klimt. Musica scarnificata, smunta, pallida. In una parola: sofferta.

Pur in presenza di una negativa ansia di cambiamento e di stravolgimento, che fa perdere qua e là ai Sofa Surfers un po’ di lucidità e smalto, si avverte in questo cd omonimo lo sforzo artistico sentito, non estemporaneo bensì costruito a piccoli tasselli con un bell’obiettivo d’insieme. Può essere una nuova strada per il Vienna touch: perdere le foglie superflue dei suoni campionati ed esibire il fusto ligneo, scarno e duro delle chitarre. Non un albero in aperta campagna, ma uno di quelli che mette le radici sorprendentemente in un sobborgo urbano. Dispiace solo per il bottegaio di dischi: finché non farà lo scaffale “Musica Urbana” dovrà sopportare gli avventori che rovistano nel ripiano “Musica Elettronica” e chiedono: “Dov’è l’ultimo cd dei Sofa Surfers?”.

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