DEATH CAB FOR CUTIE, Plans (Atlantic, 2005)

“So this is the new year, and I don’t feel any different”. Con queste parole si apriva “Transatlanticism”, quarto album in studio dei Death Cab For Cutie, uscito nell’autunno 2003. A distanza di due anni, evidentemente qualcosa è cambiato: la band di Washington saluta l’indipendente Barsuk di Seattle e approda alla Atlantic sfornando undici nuove canzoni.

Il timido Ben Gibbard sembra aver apprezzato il massiccio contributo dei DNTEL per il fortunato progetto Postal Service: “Plans”, prodotto dal chitarrista Chris Walla, vede la voce del cantante quasi trentenne sommersa in un mare di tastiere e campionamenti che cercano di rendere il suono pieno e caldo. La prima sensazione è proprio quella, e la voce e i cori coperti da strati di chitarre, tastiere ed effetti elettronici creano un’atmosfera magica. Il singolo “Soul Meets Body” è uno dei pezzi più riusciti dell’album: con i suoi scampanellii e la melodia rilassata, suona più che mai natalizio. Spicca poi la stasi iniziale e il finale trascinante di “Different Names for the Same Things”, che rimanda all’emo adulto degli ultimi Sunny Day Real Estate, e la più scanzonata e orecchiabile “Crooked Theeth”.

Ma a lungo andare le canzoni risultano iper-prodotte e patinate, a volte la copia malriuscita di pezzi già scritti, tanto che verrebbe voglia di ripescare le chitarre più incontaminate del vecchio “Photo Album”. Per questo emergono canzoni più sobrie come l’acustica “I Will Follow You Into the Dark”, la pianistica e toccante “What Sarah Said”, ispirata da una amica di Gibbard, che racconta della paura di rimanere soli quando le persone vicine muoiono, e la malinconica “Brothers On a Hotel Bed”, firmata dal chitarrista Chris Walla.

Un disco di canzoni pop che raccontano storie d’amore e di morte, con quel tono leggero e delicato al quale il leader della band ci aveva già abituato. Gli ingredienti ci sono tutti e nel complesso “Plans” risulta un gradevole disco autunnale. Peccato che, dopo tutti questi anni, manchi ancora un pizzico di fantasia, quella marcia in più che potrebbe elevare i Death Cab For Cutie a una delle migliori band del panorama alternativo americano.

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