AFTERHOURS – Concerto al Palamazda (Milano) (7 settembre 2005)

Così com’è vero che tutto torna, le ballate per piccole iene degli Afterhours riapprodano nella Milano che ha visto la loro nascita e quella della stessa band, nell’ormai remoto 1990, dopo aver viaggiato per la penisola in occasione dell’ultimo tour. Così, Manuel Agnelli e soci propongono un concerto che ha per protagonisti non solo, e soprattutto, le tracce dell’ultimo lavoro in studio, ma pure una sorta di ponte spirituale che poggia oltreoceano, omaggio e ricordo a sonorità che sono tra le ispirazioni musicali del gruppo. In modo particolare, quest’ultimo aspetto emerge immediatamente all’inizio del live, prendendo vita tra gli accordi aspri degli Stooges, per poi tornare ad accendersi più in là nella performance.

Tutto questo, non senza lasciare posto alle creazioni originali della band: nella prima parte dell’esibizione, sono difatti le opere più recenti a dipingere il paesaggio sonoro: “La vedova bianca” sfuma e si fonde con “Sangue di Giuda”, per poi rallentare i battiti e condurre verso la morbidezza languida di “Carne fresca”. Tuttavia, è un’immancabile “Rapace” a far tornare indietro la memoria agli anni passati, immortalati nell’album “Germi” (Vox Pop, 1995), ed a preparare l’orizzonte d’attesa verso le note di un punto focale della discografia della band, quale è “Hai paura del buio?” (Mescal, 1997): orizzonte che si schiude tra le note di “Male di miele” e l’irriverente (peraltro dedicata con ironia nemmeno troppo sottile al pubblico) “Sui giovani d’oggi ci scatarro su”, sebbene aleggi anche la dolce afflizione di “Voglio una pelle splendida”. Fanno capolino, inoltre, alcune tracks di “Quello che non c’è” (Mescal, 2002), quali l’omonima canzone, nonché “Bye Bye Bombey” e “Sulle Labbra”: il tutto inserito in un concerto che ha il sapore dell’immediatezza, tra una voce che sa gridare e sfumare sui colori dei sentimenti, sostenuta da un’ottima prova di Dario Ciffo al violino, che sa aggiungere melodia alla ruvidezza dei suoni.

Eppure, a ben ascoltare, il baricentro si sposta ben presto dalle nebbie di Milano a quella Seattle ed alle asperità del paesaggio statunitense del nord estremo della West Coast, a cui tanto devono non solo gli Afterhours, ma pure molti fra i gruppi che fondano il proprio modus operandi nella cultura dei primi Novanta. Se il ricordo corre subito a capiscuola quali Nirvana o Soundgarden, gruppi come Screaming Trees e Afghan Whigs, dai circuiti delle college radio, passando per tutto il circuito underground, lasciano una traccia significativa in quel che ormai è storia: il grunge. Il punk abrasivo dei primi, che si mitiga poi con influenze di rock psichedelico e folk, e la matrice garage-punk dei secondi, raffinata dall’interesse per il blues ed il soul, questa sera vivono in carne ed ossa, attraverso due ospiti, due icone: Greg Dulli, già collaboratore degli After nell’ultimo disco, che accompagna il gruppo alla chitarra durante tutto il concerto e si esibisce nella “Joker” di Steve Miller, e Mark Lanegan. Quest’ultimo si esibisce in un’intensa versione di “Dollar Bill”, proprio a siglare la fine dello spettacolo.

E di nuovo il cerchio si chiude, in un rimando al passato che sono note suonate nel presente, radici che non si dimenticano e che sono parte di uno dei gruppi italiani che riesce a riproporre nella propria chiave quel linguaggio universale e variopinto che è il rock.