TARAS BUL’BA, Incisione (Wallace Records, 2005)

Prendete il furore e la crudeltà (o sarebbe meglio chiamarla crudezza?) dell’hardcore e rendeteli geometrici e anti-emotivi, quindi prendete una certa tipologia di prog – quella meno barocca ed estetizzante – e sporcatela rendendola illogica in maniera quasi impalpabile. Quello che vi resterà sottomano potrebbe avvicinarsi a un’ipotetica descrizione dei Taras Bul’ba, all’esordio sulla lunga distanza su Wallace dopo aver galleggiato per un decennio nel mondo delle compilation e dell’autoproduzione. Musica incessante eppure continuamente stoppata, costretta a tagli perpetui e a ripartenze, con la voce narrante sovrastata dagli strumenti (la più classica delle line-up, con chitarra, basso e batteria, non fosse per il contrabbasso di Nigé che si fa strada nell’iniziale “Morder” e in “Solyaristika”).

Se il grande pregio della band è quello di riuscire a resistere alle tentazioni di cedere alla messa in scena del genere più standardizzato, rimanendo miracolosamente in bilico tra la granitica forza dei riffs e l’ondivago muoversi di cesure e cut-up, il suo difetto è quello di eludere la trappola della normalizzazione e della prassi creandone ex-novo di altre: tra gli otto brani presenti in “Incisione” non ce n’è uno che si distacchi dallo schema proposto in precedenza. Il rispetto della norma raggiunge un tale livello che, dopo svariati ascolti, risulta impossibile distinguere una traccia dall’altra: e non che si scambi quest’affermazione per un’iperbole, il problema è tangibile e reale.

Non riuscirei a innalzare un brano al di sopra degli altri semplicemente perché non saprei riconoscerlo. E questo è un difetto difficile da perdonare in quanto denota una mancanza di fantasia catastrofica. Del celebre personaggio di Gogol che ha ispirato il nome del combo resta qui registrata la forza (grazie anche allo straordinario lavoro sul suono del mai troppo encomiato Fabio Magistrali) ma non l’intelligenza.
Sarà per la prossima volta…

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