MARIPOSA, Pròffiti Now! (Trovarobato / Audioglobe, 2005)

Se siete parte di quella cerchia di persone che crede esista un sublime punto d’incontro che lega indissolubilmente l’idiozia alla genialità, “Pròffiti Now!” dei Mariposa è decisamente l’album che fa per voi. Questo sgangherato gruppo che chiama la propria musica componibile ha i natali a Bologna pur provenendo da Arezzo, Montevarchi, Verona e Messina: si potrebbero dunque definire corpi componibili, se volessimo stare al loro gioco. Hanno esordito autoproducendosi nell’irrisolto “Portobello illusioni” – il cui titolo rimandava direttamente alla satira dissacrante di Rino Gaetano – e da lì hanno iniziato un complesso viaggio nell’anarchia e nell’iconoclastia, prima assemblando ipotesi di colonne sonore, trip lisergici, canzonetta e avanguardia in “Domino Dorelli” uscito per la Santeria, poi congelandosi nella contorsione bellica di “Suzuki Bazuki” che ha segnato il loro ingresso nella Trovarobato.

Prima di arrivare a “Pròffiti Now!” hanno licenziato “Quanti sedani lasciati ai cani”; il loro percorso di formazione sembra oramai abbastanza ben delineato. L’ultimo lavoro, pur mantenendo i germi della demenza e del nonsense che contraddistinguono l’ipotesi musicale ed etica della band mostra segni di gigantismo e avanza pretese non da poco, fin dalla mole doppia. I brani vengono sezionati da interventi ipotetici alla “prima conferenza sulla musica componibile”, alla quale partecipano un po’ tutti, da Franco Fabbri a Stefano Isidoro Bianchi, da Riccardo Bertoncelli alla scena musicale attuale (e non), con contributi vocali a tratti francamente spassosi. Da un punto di vista prettamente musicale la varietà stilistica della band continua a evolversi in una tensione continua che porterà presumibilmente a un’esasperazione prima o poi insostenibile. Ma per adesso ben più che sostenibile, direi: se in “Trovarobato” le citazioni diventano fin troppo palesi, mescolando Celentano e canti partigiani (“Fischia il vento”, nello specifico), per il resto si lavora di fino, raggiungendo i picchi nella sospensione magica che accompagna “L’asta degli oggetti scivolati” e nella delicata danza “Pretzel” (dedicata al salatino che arrivò a pochi centimetri dallo strozzare George W. Bush).

“La stima del manicomio”, capace di rendere cosa sola elementi sonori del tutto antitetici tra loro – addirittura la sigla de “L’almanacco del giorno dopo” della RAI, ovvero “Chanson Baladée” di Riccardo Luciani -, è l’ennesima dimostrazione delle potenzialità di questo particolarissimo combo nostrano: che non sempre comunque colpisce al cuore e non sempre sembra scegliere la via più adatta, a tratti scadendo francamente di tono. L’arte del paradosso e del surrealismo tout court è difficile da percorrere senza inciampare, e i nostri non sempre mostrano il piede sicuro; ma sono debolezze da perdonare, soprattutto in vista di una crescita continua ed esponenziale, sia da un punto di vista compositivo – ascoltare per credere “Le signorine centroamericane”, “Radio Marea” e la strepitosa progressione di “Teen Vaginas Can Destroy Your Life” – che puramente letterario (“Ci siamo presi una pausa per riflettere/non abbiamo riflettuto perché eravamo in pausa/non abbiamo nemmeno riflesso” recita “Talaltri”), anche se a volte si notano ancora svisate inutili e ricerca di rime fin troppo facili.

Insomma, ancora non è ben chiaro se finiremo per appioppare agli ondivaghi Mariposa l’appellativo di dementi o di geni, ma fa bene al cuore sapere che in giro per la nostra penisola c’è gente così libera di testa da permettersi il tutto. E fa bene sapere che sono anche autoironici, consapevoli di come da taluni questo tutto potrebbe essere considerato nulla.

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