BJORK, Army of me: remixes and covers (One Little Indian / Goodfellas, 2005)

Quando si scrivono canzoni che sono perfetti standard pop, è molto facile che altri artisti se ne innamorino e decidano di creare una loro versione; il jazz sopravvive ormai da anni su questa pratica fin troppo comoda, e anche nel mondo del rock la cover è una prassi consolidata. Non deve stupire troppo, quindi, questo bizzarro album che contiene ben venti versioni differenti, tra remix e cover stravolte, di un classico pop degli anni ’90, quella “Army of me” che inaugurava il caleidoscopico “Post”, il secondo album solista di Björk: tra tutte le versioni che sono arrivate sul sito ufficiale della cantante islandese, lei ha scelto le versioni più particolari (e più distanti tra loro) e ne ha realizzato un disco, i cui proventi andranno interamente all’Unicef per i bambini vittime dello tsunami in Indonesia.

Ma che cosa si trova in questo disco? Di tutto, davvero di tutto: il bordone rumoristico di synth che percorre il brano originale viene piegato in ogni direzione, dal metal dei canadesi Interzone e degli Hemp (cloni dei Faith No More), fino all’indie-tronica molto Mùm dei danesi Atoi, passando dalle atmosfere country dei Messengers of God alle basi in stile Moroder dei Beats Beyond; dai beats martellanti, quasi industrial, di Dr. Gunni all’atmosfera mistica di un remix per sola voce fatto da Peter Baker. Pur nella perfezione pop, Björk è ancora considerata una sperimentatrice, e chi si avvicina alle sue canzoni spesso ritiene di dover calcare ulteriormente la mano: così, ascoltiamo 50 Hertz portare “Army of me” al confine tra stilemi indie, tastiere da videogioco anni ’80 e le Chicks on Speed; R. Luvbeats incrociare ritmica digitale e tribale, ottenendo uno dei brani migliori della raccolta; Patrick Wolf (unico nome minimamente noto da queste parti) trasforma la voce in un canto lirico e appesantisce i beats, creando un’atmosfera molto gotica; Tor Bruce chiude la scaletta con la perfetta colonna sonora da videogioco Atari, un esplosivo synth-acid-punk.
Il meglio, però, viene quando la canzone viene spogliata, resa finalmente semplice: la francese Grisbi crea una bossanova incantata, Martin White emula Yann Tiersen reinterpretando la canzone col solo aiuto dell’accordion, mentre il greco Mikhail Karikis trasporta la canzone in un’altra dimensione, colorandola di clavicembali, archi e flauti di Pan.

Un disco interessante, ma che difficilmente potrà interessare a chi non ha per Björk un culto assoluto: un esperimento divertente a scopo benefico. A volte, per un disco, questo può essere sufficiente.

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