SEPIATONE, Darksummer (Desvelos / Audioglobe, 2005)

“Dark summer” era il titolo di un b-movie di qualche anno fa, dove un viaggiatore veniva coinvolto negli omicidi di due sorelle psicotiche; non è dato sapere se il titolo del nuovo album dei Sepiatone, progetto che vede coinvolta la catanese Marta Collica accanto all’onnipresente Hugo Race, si rifaccia a questo film, ma è un dato di fatto che la loro musica sia un flusso onirico, cinematografico e, a volte, non troppo rassicurante.

La scura estate dei due non ha la stessa leggerezza incantata del precedente “In sepiatone”, ma gioca con le canzoni in un continuo cut ‘n’ paste: spesso si ha l’impressione che i brani siano stati scritti con strumenti tradizionali, poi scomposti e infine ricostruiti attraverso una densa coltre di loop raccolti da vinili dimenticati. “Darksummer” è un disco profondamente suggestivo, il suono è avvolgente e persistente come vino: “Ektachrome” dipinge surreali visioni desertiche attraverso l’Hammond e la tromba, finendo per ricordare un gruppo misconosciuto e scomparso come gli Smoke City; “Greenhouse” rivela finalmente la voce di Marta Collica (molto più bella, profonda e pastosa di come l’avevamo ascoltata ai controcanti nei dischi di Cesare Basile), e l’influenza netta del songwriting oscuro di Hugo Race.

È proprio il tenebroso australiano alla voce nella successiva “Unnaturalfire”, splendida colonna sonora per un noir anni ’50 girato ai giorni nostri, con quegli archi drammatici che la aprono e le voci sensuali che si abbracciano tra loro. “Disguise” addensa ulteriormente il suono, tanto che sembra di ascoltare una musica cantata sott’acqua, un’onirica ballata pianistica proveniente da un altrove lontano; è il gioco e lo spezzettarsi dei loop a rendere interessanti e particolari queste canzoni (“Saboteur”, che unisce una linea vocale incredibile al suono del guiro, a frammenti di drum ‘n’bass e a una chitarra acustica), e spesso la voce scompare nella nebbia dei suoni (“C’è Dio”). Verso la fine, “Darksummer” si fa più opprimente e il gioco mostra la corda, ma i due musicisti sono abbastanza intelligenti da capirlo e da cambiare rotta: “From so hi” sembra provenire direttamente dal disco solista di Beth Gibbons, mentre “Difianco” è un perfetto esempio di lounge anni ’60, con un ritmo di bossanova e un recitato in italiano che va ad omaggiare i maestri del genere.

Il carillon evocativo e non del tutto rassicurante di “Twilightone” chiude tre quarti d’ora onirici, animati da un’oscurità leggera, dal calore soffocante di certe giornate d’estate e dei suoi sogni inquieti; degna colonna sonora di un’estate torrida, vissuta con i sensi annebbiati.

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