Sarebbe troppo facile considerare quest’album alla luce dei drammatici fatti precedenti la sua pubblicazione, c’è sempre il rischio di “cagare fuori dalla tazza”, soprattutto considerando che l’autore delle canzoni di questo “From a Basement on the Hill” non c’è più. All’incirca un anno fa un velo di mistero contribuiva ad aumentare ancora di più il dolore per la morte di Elliott Smith, un artista mai troppo considerato nonostante abbia al suo attivo alcuni tra i più bei dischi di canzoni d’autore degli anni ’90, una sensibilità fortissima che lo accomuna – per lo meno idealmente – ad artisti tormentati e misteriosamente magnifici come Tim Buckley e Nick Drake, che, come Elliott anni dopo, non sono riusciti a fare totalmente i conti con le loro paure e i loro sogni e sono stati sconfitti. Da tutto.
Ma cosa volete farci… probabilmente il giudizio sarà superiore agli effettivi meriti – questo lo sapremo solo fra qualche anno – ma adesso come adesso, ci sentiamo consapevoli di amare alla follia “From a Basement on the Hill”, il sesto disco in studio di quell’anima fragile, un disco che doveva nascere, forse non nella forma che oggi conosciamo ma che certamente non lo accomuna a tutte le vigliaccate postume di mamma Buckley e dell’entourage di Drake e soci. Forse è addirittura il suo disco migliore, quello con le canzoni più dolorose e pungenti, più piegate sull’autore e con più scarna verità. Testi che graffiano e una voce che commuove, arrangiamenti a metà tra il pop, il rock e il folk che non fanno altro che esaltare la visceralità delle parole.
Sono 15 canzoni che descrivono nella sua totalità un uomo sconfitto, una qualità ed un’onestà imbarazzante che rende questo disco di una bellezza indicibile e che, siamo certi, si fa poco influenzare da fattori extra musicali. Almeno non qui. Almeno non ora. Uno dei dischi più belli dell’anno e una delle raccolte di canzoni più toccanti degli ultimi anni.
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