BILL RYDER-JONES, “Iechyd Da” (Domino, 2024)


“Iechyd Da” (tradotto dal gallese, buona salute) è il quinto disco in studio dal 2011, escludendo colonne sonore e reworked version, di Bill Ryder-Jones, che io ricordo aver incontrato “da giovane” con i fantastici Coral di supporto a Coldplay (Fano, 2003) e Oasis (Assago, 2005), dove – più nella prima che nella seconda data – si era rivelato autentico faro della band di Liverpool, che ha co-fondato all’età di tredici anni, con il suo chitarrismo visionario, espressionista, decisamente unico.

Entrambi hanno quindi vissuto una lunga pausa, sia Jones per le crisi di panico derivate dagli impegni on the road che la band guidata da James Skelly, per poi imboccare strade opposte ma comunque qualitative: se i lavori dei Coral da “Distance Inbetween” a oggi sono uno più bello dell’altro tra rock’n’roll, country e folk Bill Ryder-Jones ha vestito i panni del multistrumentista, arrangiatore alla George Martin/Ennio Morricone e produttore ad esempio per “Dear Scott” di Michael Head, grande successo di classifica in UK. L’album del ritorno dopo “Yawn” mette a frutto le sue esperienze trasparendo però, con il senno di poi, un debole segnale di novità e originalità.

Partiamo dai difetti. L’opener “I Know That It’s Like This (Baby)” gioca sull’interpolazione del classico brasiliano di Gal Costa sviluppandosi in una ballad mutevole degna dei primi Eels (anche la voce sembra quella), mentre in “If Tomorrow Starts Without Me” a essere tirato in ballo è il Lou Reed di “Street Hassle”; il pezzo comunque funziona ed è un highlight, tra delicatezze jangly e un organo di impronta soul. Nutro dubbi che sia farina del suo sacco anche riguardo al motivo orchestrale dietro a “Thankfully For Anthony”: Mercury Rev? Sigur Ros? Spiritualized? o un pò da tutti questi. Semmai è in un altro episodio che il prestito è inequivocabile, cioè “It’s All Over Now, Baby Blue” in chiave Beck per “Nothing To Be Done”, che si avvale del Bidston Avenue School Choir: un brano che poteva essere nelle corde di un Win Butler post-Reflektor.

La lirica “I’m Still Lost But I Know Love/And I Know Loss But I Chose Love” mi spinge invece a sottolineare un grande merito della raccolta, perfetta per il momento storico nell’immaginario che crea grazie alla copertina e ai testi, dai rapporti naufragati (“Take Those Troubles, Baby, To Someone New/As There’s Nothing I’ve Got Left To Say To You/But Oh How I Loved You”, per “A Bad Wind Blows In My Heart pt. 3”) alla condivisione dei propri tormenti in “We Don’t Need Them” (“Come Back To Me, My Friend/I’m Out Of My Mind Again/At Least I’m Not Someone Else”). “This Can’t Go On” è il centro del discorso, l’orgogliosa perla per cui ricorderemo questo disco. Che cerca forza nelle melodie pop per trovare, senza ancora farcela, un equilibrio nella vita.

71/100

Foto in Home di Marieke Macklon