CRISTINA DONA’, Cristina Donà (Mescal/Sony, 2004)

È strano sentire parlare tutti di Cristina Donà, dopo che per anni è rimasta un culto per pochi. Ora vedi ovunque la sua faccia spigolosa, chiunque ne parla come della punta di diamante della nostra scena musicale, ora che la sua musica viene fatta conoscere in tutto il mondo, attraverso la Rykodisc.

Si può parlare di questo disco come di un simbolo di una rinascita del nostro rock, di una riscossa, di una rivincita della qualità musicale della nostra scena su tante next big things idolatrate ma povere di sostanza; si potrebbe fare tutto questo, se solo non suonasse così banale. E allora, certo, “Cristina Donà” è un disco importante e simbolico, ma alle orecchie di chi già conosce queste canzoni suonerà inevitabilmente strano.

Undici brani, di cui solo “Goccia” rimane in italiano, mentre, eccettuata una cover, tutto il resto del disco è una riproposizione in inglese dell’ultimo “Dove sei tu”; un vero e proprio lavoro di riscrittura, non solo di traduzione, con alcuni arrangiamenti leggermente modificati e soprattutto una resa della voce che la rende ancora più calda e viva, impregnata degli umori e dei riverberi delle stanze in cui è stata registrata.

Restano alcune piccole perplessità: la riscrittura in inglese era davvero necessaria? Forse sì, e il livello poetico dei testi rimane identico alle versioni originali, e a volte acquista nuovi significati (come in “Yesterday’s film”), ma per chi conosce già i brani la sensazione all’ascolto è piuttosto straniante; a mio parere, poi, è stato un peccato tralasciare canzoni come quelle di “Tregua” o di “Nido”, forse meno rappresentative di cosa è la Donà oggi ma più emotivamente potenti nonostante la loro nuda e obliqua grazia, meno perfettine di quelle di “Dove sei tu”.

Esaurite le critiche (che mi sembrano doverose, specialmente in un coro unanime di elogi tardivi), resta da dire della bellezza, perché anche questo disco ne contiene, e molta; variano piccoli particolari sonori, e la scoperta di questi dettagli è il gioco più eccitante: una raffinatissima introduzione di archi uscita che sembra uscire da una radio d’epoca per “Yesterday’s film”, l’attacco vocale di “Invisibile girl” che sostituisce la splendida chitarra acustica della versione italiana, una “The Truman show” ancora più aggressiva, i raddoppi della voce sulla toccante “Milly’s song”… La passione per le cover, poi, emerge da “How deep is your love”, sorretta solo da una chitarra acustica: un’emozione spoglia e profonda, che davvero ricorda quella di Jeff Buckley nell’affrontare canzoni altrui.

Questo è “Cristina Donà”, insomma: un album di bellezza liquida, profonda, di eleganza d’altri tempi mista ad aggressività, ripiegato sul mondo interiore ed aperto a celebrare la bellezza del mondo al di fuori di sé. Ma tutto questo lo sapevamo già, ed è molto bello che ora se ne accorgano tutti.

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