ANATROFOBIA, Tesa musica marginale (Wallace Records, 2004)

Ha ancora un senso nel 2004 cercare catalogazioni e restrizioni agli elementi musicali che, dispersi nell’aria, vanno a formare quell’organismo composito che chiamiamo per assuefazione “rock”? Quest’interrogativo rischia di divenire indispensabile nel momento stesso in cui ci si viene a scontrare con la musica degli Anatrofobia, terzetto torinese con più di dieci anni di vita alle spalle.

Tra boati vagamente prog nella loro aura classicheggiante, scheggiate digressioni free-jazz e rumorismi figli di un’attitudine hardcore e noise, la band lancia una sfida tutt’altro che banale alla sottile arte dell’improvvisazione. Musica umorale, comunque, nettamente opposta alla norma cerebrale e autofaga che fa solitamente dell’atto dell’improvvisazione – base del suono, anarchia strutturale che accetta la casualità senza farsi asservire dalla stessa – uno spunto puramente autocelebrativo, a tratti quasi masturbatorio. Questo “Tesa Musica Marginale” è un insieme di nuovi brani e di vecchi cavalli di battaglia rivisitati per l’occasione, con l’aggiunta in line-up del fagotto (acustico ed elettrificato) suonato da Alessio Pisani e della chitarra elettrica – disturbata, disturbatissima – di Roberto Sassi.

Apre la kermesse sonora la ripresa di “Uno scoiattolo in mezzo ad un’autostrada”, tratta dall’album omonimo del 2001, quello che fece circolare il nome della band tra gli addetti ai lavori. “Un leggero battito d’ali” è un ipnotico viaggio suburbano, dominato da un basso sornione, da una batteria spezzata e dal sax di Alessandro Cartolari che trascina in un’atmosfera noir: improvvisamente il brano sprofonda in un universo di boati, accenni strumentali mai compiuti e riverberi. E’ il palesamento dell’etica che guida gli Anatrofobia, musica in continua evoluzione, dove spazio e tempo sono pronti a dilatarsi e a comprimersi a seconda del bisogno. I brani sono spesso contenuti all’interno dei cinque minuti di durata, ennesima dimostrazione di padronanza della materia da parte del combo: laddove la sperimentazione sonora e l’improvvisazione potrebbero essere prese a pretesto per lanciarsi in lunghe (quanto inopinate) suite, la scelta di darsi un metodo e di rispettarlo non può non apparire come un valore aggiunto.

L’unico vero e proprio esempio di volo pindarico risulta essere anche uno dei punti più alti dell’album. “La prima merla” è un brano studiato perfettamente, nel quale l’assolo di chitarra e quello di fagotto si susseguono con una linearità sorprendente, pronti a lanciarsi in frastornanti accelerazioni in grado di togliere il fiato e a sparire in un vortice di rumori apparentemente senza fine. Gli Anatrofobia sono ormai maturi, quasi strafottenti nel loro mescolare musica popolare e riferimenti colti, come dimostra lo studio finale che Alessandro Cartolari fa dell’Op. 87 di Shostakovich. Band tra le più curiose incontrate attualmente nel nostro bel paese, è impossibile sperare che la loro esperienza sia da stimolo e ispirazione per altri. Ma sarà bene tenerli d’occhio…

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