VERDENA, Il suicidio del samurai (Blackout / Mercury, 2004)

È facile, fin troppo facile, essere prevenuti nei confronti dei Verdena. Fin dall’inizio i giudizi su di loro sono stati estremi: da una parte chi non può sopportarli, un po’ per la musica e un po’ per il successo che hanno ottenuto sin dal primo disco; dall’altra, invece, chi li vede come i nuovi profeti del rock italiano.

In mezzo ad una tale disparità di vedute, sta probabilmente la verità: i Verdena sanno suonare, e anche meglio di molti altri ben più celebrati di loro; è pur vero, però, che la loro proposta non è poi così originale e tende a svilupparsi sempre sullo stesso schema.

Bene. Arriva “Il suicidio del samurai”, terzo disco in studio e primo da quando il trio si è allargato a quartetto, con l’innesto stabile di un tastierista, e le cose cambiano sensibilmente. Confesso di non avere mai trovato il gruppo particolarmente interessante, ma l’attacco di “Logorrea” (con quella batteria feroce, la tastiera a riempire i vuoti di un suono saturato, la voce finalmente molto più duttile) mi sorprende davvero, e lo stesso fa la successiva “Luna”, abile nella ricerca della melodia, cruda e allo stesso tempo molto orecchiabile.

Si ascolta “Mina” e si inizia a pensare che finalmente il gruppo abbia imparato a diversificare un po’ le atmosfere, quando subito dopo si torna su territori già noti e tutto sommato inconcludenti con “Balanite” e “Phantastica” (che fa però segnare il più netto miglioramento di Alberto Ferrari come autore di testi, con l’immagine potentissima del Cristo che sanguina e ci guarda con rabbia). Di nuovo sorpresi dal martellare furioso di “Elefante” (che sembra mischiare Queens of the Stone Age e Smashing Pumpkins in vena di divagare) e da “Glamodrama”, vero centro del disco con il suo drammatico crescendo finale, ascoltiamo il resto del disco vagare tra melodie trasognate e brusche virate elettriche, fino a sfociare nella violenta title-track conclusiva.

Si arriva alla fine della corsa abbastanza provati, piacevolmente stupiti dai miglioramenti del gruppo (soprattutto per le parole che, pur tenute in secondo piano come sempre, sono finalmente all’altezza della situazione) ma consapevoli che la formula sonora dei Verdena rimane sostanzialmente la stessa: per questo chi li trovava insopportabili continuerà, nonostante tutto, a pensarla allo stesso modo; i loro estimatori, invece, si troveranno tra le mani il miglior disco realizzato finora dal quartetto.

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