Intervista ai Bartòk

La sorpresa più bella della data reggiana del Tora! Tora! il pubblico l’ha avuta pochi minuti dopo la comparsa sul palco di un violoncello. Entrano cinque ragazzi. Le facce delle persone che non hanno mai sentito parlare dei Bartòk vagano affannosamente sul palco, alla ricerca di una chitarra. Niente da fare, non la troveranno, ma non credo che nessuno ne abbia sentito l’assenza, specie davanti alla violenza sonora di “Nuevo Cannes” e di “Slacker”. Insomma, una grande esibizione, ed era sorprendente il contrasto tra le facce tranquille dei musicisti e la foga che mettevano nel violentare i loro strumenti nei momenti più concitati.
E’ proprio Lorisil tastierista, quello che colpiva la tastiera a pugni durante la coda di “Slacker”, il ragazzo tranquillamente in coda al buffet per avere un po’ d’acqua?
Sì, pare proprio di sì. I complimenti meritati, la richiesta di qualche domanda, “Non c’è problema, siediti a tavola con noi!”. Questo è il risultato della nostra breve chiacchierata.


Innanzitutto…buona cena.
Grazie! (ride)

Vorrei una tua impressione sul vostro concerto di oggi.
È stato un po’ faticoso, c’erano dei problemi proprio riguardo al clima, problemi metereologici, un vento esagerato che spostava quasi gli strumenti e anche il suono, però per il resto devo dire che è andato tutto bene.

Siete in tour, adesso, state facendo dei concerti?
Facciamo un paio di date, cioè questa e la prossima settimana a Sassuolo.

Rispetto al vostro primo album, “Few lazy words” mi è sembrato più accessibile come suoni.
Sì, sembrerebbe più accessibile…

Ci sono stati cambiamenti volontari o…?
Quello assolutamente no, nel senso che non abbiamo cercato questa direzione; probabilmente questo cambiamento del suono viene più dall’aspetto produttivo, da come abbiamo registrato il disco piuttosto che dalla composizione vera e propria, che mi sembra ancora più critica della precedente. C’è stata una produzione più lunga, più accurata, anche come tempo e come mixaggi, quindi questo ha reso il suono più omogeneo, più amalgamato, più accessibile, sostanzialmente.

Avevo letto, qualche tempo fa, un’articolo su “Rumore” su Varese, e sui gruppi che da lì stanno emergendo. Secondo te questa scena esiste davvero, anche a livello di amicizie tra le band?
Esiste certamente, e soprattutto a livello di amicizie. Nasce tutto lì, dall’essere vicini. Più che altro è stato Alberto Campo (il giornalista di “Rumore”, ndi) che è riuscito un po’ a captare quello che stava succedendo e l’ha concretizzato, diciamo, anche ai nostri occhi.

Tra l’altro c’è anche la Ghost records, la vostra etichetta. Com’è nata?
La Ghost è nata un paio d’anni fa (si interrompe) innanzitutto la Ghost records non è nostra, noi ci lavoriamo, ma l’etichetta è di Francesco Brezzi; io e Roberto dei Bartòk collaboriamo solamente.
È nata un paio d’anni fa con la compilation sui gruppi di Varese (“Ghost town: 13 songs from the lakes country”, edita nel 2002 da Ghost e Gammapop, ndi); ci siamo detti: “Facciamo una raccolta con tutte queste cose” e abbiamo creato questo marchio; poi c’è stata, insieme a Santeria, la produzione del disco dei Bartòk, poi è uscito Mr. Henry, ora siamo in uscita con gli Encode; è nata un po’ così, dal raccogliere i gruppi e poi ha preso un po’ piede…

Ho notato che in quasi tutti i testi del disco, oltre che nel titolo, compare la parola “WORD”, e anche quando non compare direttamente, i testi girano intorno ad un sentimento di incomunicabilità. Che importanza date alle parole, nelle vostre canzoni e in generale?
Forse la ripetizione continua di WORD, da te notata, ribadisce l’essenzialità e la “neutralità” dei nostri testi. Infatti, nella nostra musica, le parole hanno un ruolo quasi esclusivamente funzionale e servono principalmente a dare un senso compiuto al cantato di Roberto, che nasce sempre improvvisando senza alcun testo. Significativo diviene poi l’intervento di Sara Gastaldello (l’autrice di tutti nostri testi) che riordina le “idee” delle parti vocali.

Un’ultima domanda, e poi ti lascio mangiare…
Figurati, tanto è tutto freddo… (ride)

Ascoltando la vostra musica, anche qua al concerto, mi venivano in mente certe colonne sonore: Lynch, Hitchcock…
Con Lynch cogli assolutamente nel segno perché piace a moltissimi di noi, hai colto uno degli autori con i quali abbiamo un immaginario affine, insomma, senza averne senz’altro la profondità e tutto quanto; adesso, il fatto che noi siamo potenzialmente capaci di produrre una colonna sonora, questo in realtà si dice dall’inizio, ma poi non è mai successo…

Non avete mai avuto proposte, quindi.
Così, serie, no; abbiamo fatto delle musiche per un documentario su una cosa a sfondo sociale (“Uomini in mare”, per la regia di Gaetano Maffia, ndi), però una fiction, un dramma vero e proprio no; la cosa ci affascina sicuramente, ci può essere vicina, se vuoi, per temi e per atmosfere.

Perfetto. Io ti ringrazio e…buon appetito!
Grazie a te!