Il mondo di Fiamma: l’intervista

MEI (Faenza, 24 novembre 2002)
Ha gli occhi vivi, Fiamma. Sembra far fatica ad abituarsi all’idea che l’attenzione intorno a lei stia pian piano crescendo, ma allo stesso tempo le si legge in faccia la gioia di poter raccontare di sé e della sua musica.

Nel caos assoluto della giornata finale del MEI, Fiamma mi concede qualche minuto prima della sua esibizione sul palco acustico. Una chiacchierata dall’atmosfera decisamente informale e amichevole sui suoi inizi e sul cammino che l’ ha portata al suo primo disco solista, “Contatto”, uscito a inizio novembre per la Mescal: un album che trova un singolare equilibrio tra strumenti tradizionali, sonorità elettroniche e una voce davvero emozionante.

Ho appena scoperto di essere a colloquio con un’artista che è mia conterranea: lei è Fiamma. Presentati per chi ancora non ti conosce e raccontaci com’è iniziata la tua carriera.
Per i MOLTI che non mi conoscono ancora…io sono Fiamma, e la mia carriera a livello professionistico è iniziata per caso all’incirca tre anni fa: sono stata notata durante un concerto con amici da Alberto Cottica, che all’epoca suonava ancora nei Modena City Ramblers (fisarmonicista, nda), e che stava pensando di fare un progetto folk con una voce femminile dove inserire il canto tipico all’emiliana. Io non sapevo di avere questa cosa fino a quando lui non me l’ ha detto, perché per me le cose che mi faceva cantare mia nonna da piccola erano le cose più naturali del mondo, sia come filastrocche che come modo di cantare; capivo che era una cosa un po’ diversa da tutto quello che mi stava intorno, però c’è stato qualcuno che dal di fuori mi ha dovuto dire “Guarda che questo qui è il canto tradizionale emiliano”, e io ho detto: “Figata!” (ride).
Sono quindi stata coinvolta in questo progetto che ha preso il nome di Fiamma Fumana, e nel 1999 è uscito un disco che si chiama “1.0” e mischiava l’elettronica dance italiana alle sonorità folk- popolari del nord Italia.
In quest’ultimo anno e mezzo ho provato a scrivere anch’io musica e testi, ed è nato “Contatto”, che porta il mio nome come progetto solista; la band è rimasta la stessa, ma la direzione si è spostata un po’ verso il pop, appunto perché canto all’emiliana ma non sono comunque una musicista folk per eccellenza, quindi per trovarmi più o meno a mio agio con la scrittura in musica ho iniziato a descrivere il mio mondo, e così è nato “Contatto”.

Quindi questo è anche un album più personale.
Sicuramente è più introspettivo e alla fine anche molto autobiografico, e per questo mi ha roso l’anima, ma in senso positivo, è stato uno sconvolgimento molto bello.

La fase di composizione è stata lunga? Ci hai messo molto a crearlo? 

La copertina di “Contatto”

Sono stati step lunghi: dopo un anno e mezzo ci siamo trovati venti pezzi tra le mani, l’uno dopo l’altro, ci ha preso molto la mano. Parlo al plurale perché oltre a me ha scritto anche Alberto, abbiamo praticamente scritto quasi tutto a quattro mani. E alla fine abbiamo detto: “Ma vale la pena buttare via tutto, oppure si può vedere se le cose che sono state scritte sono alla portata di tutti?” C’è la speranza che ovviamente più persone ci si riconoscano, e che quindi le emozioni che ho provato io a cantare siano più o meno le stesse di chi va ad ascoltare. Questo è l’augurio che mi autofaccio! (ride)

Le persone che hanno collaborato a “Contatto” sono nomi importanti per la scena italiana: Cristina Donà, Gianni Maroccolo, Modulamanopola degli Almamegretta. Come li hai conosciuti e come sono stati coinvolti nel progetto?
Loro sono tutti artisti che seguo da anni come fan, e avendo “messo il piede nella porta” li ho conosciuti a livello personale. Cristina e Gianni li ho conosciuti partecipando da spettatrice a un corso organizzato dal Comune di Modena, organizzato dal Centro Musica: loro erano i docenti e io li andavo a trovare spesso, e gli raccontavo che stavo producendo questa cosa mia, e sono stati loro a dire “Se ti serve, se posso fare qualcosa per te…” e io ho detto “Ceeeerto!” (ride). Mi è sembrato bellissimo avere un incoraggiamento di un certo tipo da parte loro, credevano in quello che facevo ed è stato BELLISSIMO!
Invece con Modulamanopola è stata una cosa un po’ strana…il disco è stato coprodotto da un trio milanese, i Quite, al cui interno c’è anche Sergio Carnevale dei Bluvertigo, e Stefano è un loro amico. Abbiamo fatto un sacco di cene durante la mia permanenza a Milano, e sono venuta a sapere dopo un paio di giorni che lui era stato in studio e mi aveva regalato un basso elettrico su un pezzo; la sera dopo ci siamo ritrovati a cena, e ovviamente gliel’ ho dovuta pagare! (ride). E’ stato spontaneo, è stata una cosa sua…io, dopo, riascoltando il pezzo, dicevo “Che figata! Però non capisco…”. E’ stato bello che la cosa sia nata così, ne sono stata davvero molto felice.

Spesso, parlando della tua voce, ho sentito tirare in ballo paragoni con Björk (di cui hai interpretato anche “Jóga” nell’ep “Mantra”) e Sinéad O’Connor. Sono artisti che tu ami, che ti hanno ispirato?

Fiamma (foto: www.fiamma.org)

Penso che sia in un caso che nell’altro mi siano entrate proprio nel genoma…non riesco a dirlo in nessun’altro modo. Hanno entrambe un modo di comunicare che fin da ’96, che è stato l’anno in cui le ho messe insieme nei miei ascolti, mi ha sempre attirato. La cosa che mi prendeva di più nei loro pezzi era ovviamente la voce: è il mio strumento, quindi è naturale che andasse lì l’attenzione.
Björk ti butta lì la cosa così com’è: penso che il passaggio dal cuore al cervello per fare la nota e dire la parola sia praticamente contemporaneo; Sinéad O’Connor ha portato nel pop il canto tradizionale irlandese, e l’attenzione da parte mia era stata naturale in questo senso. Quindi… grazie per dirmi che in qualche modo si trovano dentro di me!

Un’ultima cosa e poi ti lascio andare, anche perché so che ti devi esibire allo spazio acustico tra poco: com’ andata ieri sera al festival “Sintonie” (serata dedicata ad artisti donna tenutasi il 23 novembre a Verona, il cui cast comprendeva anche Alice, Cristina Donà, Thalia Zedek e Shannon Wright, nda), e com’è stata la partecipazione al Tora!Tora! quest’estate?
È andata benissimo, e tra l’altro mi ha fatto molto piacere che qualcuno abbia fatto in modo che ci sia un festival solo per i suoni al femminile, il che vuol dire che se è nata una cosa del genere un motivo a livello antropologico c’è. Sono, SIAMO, in poche a fare musica: le cantanti sono un po’ più numerose, ma invece dal punto di vista del suonare gli strumenti c’è veramente una povertà incredibile, e questo perché penso che manchino delle strutture a livello sociale per far sì che una donna pensi che la musica possa diventare un mestiere vero e proprio…è ancora troppo incerta come tipo di visione della vita. Se ci fossero vari aiuti…
Il Tora!Tora! è stato bello, perché anche quello è un festival dove metti insieme gente che ha un sacco di creatività, però forse non ha gli elementi standard per cui il mainstream lo possa accettare. Però sono realtà credibili, vere, che muovono un sacco di persone, e mi ha fatto molto piacere essere ospitata nella data di Cagliari, è stato molto bello.

Grazie mille dell’intervista, e in bocca al lupo!
Grazie Daniele, e crepi il lupo!

Grazie di cuore a Fiamma (la mia prima intervista in assoluto!) e a Beatrice di CYC Promotions!