ANDREA RA, Scaccomatto (Mescal, 2002)

Un esordio convincente. Tradizionale e fuori dagli schemi al tempo stesso. “Scaccomatto” è il titolo del primo lavoro discografico di Andrea Ra, cantautore romano con un recente passato pieno zeppo di collaborazioni importanti (Giuliodorme, Max Gazzè e Francesco Zampaglione dei Tiromancino, tanto per fare qualche nome), collaborazioni che hanno inciso sullo stile dell’artista capitolino, senza però snaturarlo.

Il disco è ben prodotto e ben arrangiato. Il genere è un rock con profonde venature pop melodiche. Se fosse ben promozionato potrebbe addirittura essere da qui a poco un eccellente prodotto da classifica, dal momento che scorrendo le dodici tracce dell’album alcuni avrebbero le carte giuste per diventare dei buoni singoli.

Attenzione però: “Scaccomatto” è tutto fuorché un prodotto… “costruito” per andare in classifica e basta ascoltare l’ultima traccia (“Il pazzo”) e la successiva ghost-track, per rendersi conto che Andrea Ra è uno che ama sì le melodie, ma al tempo stesso adora mischiare le carte in tavola, giocare con le parole e dare tanta teatralità alle sue esecuzioni.

L’album si apre con “Scacchi assassini”: tre minuti di chitarre elettriche suonate in modo molto efficace e coinvolgente, tenute per mano dalla voce rabbiosa di Ra e da una batteria precisa e mai invadente. Almeno tre i brani che potrebbero fare da singoli: “Vestita come ra”, “Aria fresca” e soprattutto “Ricominciamo adesso?!”, canzone quest’ultima che sembra presa a prestito dal repertorio di Daniele Silvestri e che ruota attorno ad un ritornello ossessivo. Insomma, forse questa non sarebbe la canzone ideale per rappresentare un album così variegato, ma senza dubbio potrebbe strizzare l’occhio alle radio.

Il disco si chiude con “Il pazzo” (una canzoncina che sembra eseguita da un giullare dei giorni nostri) e con una delirante ghost-track che sorprende: Ra parla infatti per sette minuti recitando cose, parole e versi senza nessun senso e senza infastidire. Sette minuti di parole pronunciate con una voce impostata, meccanica, quasi irreale. Un esperimento linguistico, un pregevole calembour con il no-sense e la lingua italiana. Del resto come potrebbe essere definito un testo che presenta “uscite” del tipo: “… il latte è scaduto e adesso io sto male. I biscotti integrali non mi aggradano più. Basta con le chiacchiere…”?

L’ultima nota è per il booklet, poco curato nella veste grafica e realizzato con una particolarità: tutti i testi dell’album sono privi delle vocali accentate e dell’apostrofo: piccola dimenticanza, errore in fase di post-produzione oppure semplice e volontaria omissione artistica?

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