PRIMAL SCREAM, Evil Heat (Columbia, 2002)

Inizia con un mantra psichedelico che sa di elettronica ipnotica il nuovo album dei Primal Scream e il tono onirico con cui canta Bobby Gillespie sembra rimandare al 1991, l’anno di grazia in cui diedero alla luce “Screamedelica”, un disco semplicemente stupendo, nonché il più riuscito incrocio tra il rock alternativo e la musica dei rave.

Undici anni dopo i Primal Scream stanno proseguendo lungo le stesse strade, anche se “Evil Heat” li mostra quasi indecisi sul da farsi. Da un lato le tracce più dance, in cui la ritmica è pesante, non sembrano molto di più che anonimi tentativi di inseguire i Chemical Brothers. Così è per “Miss Lucifer” o “Detroit”, che vede tra l’altro ospite Jim Reid dei gloriosi Jesus and Mary Chain, che danno l’impressione di essere puro esercizio di stile e nulla più.

Dove invece i Primal Scream danno il meglio di sé, paradossalmente, è quando sposano il rock, questa volta quello sporco e ruvido di Stooges e Velvet Underground. Colpiscono i richiami al blues della rabbiosa “Rise” e di “The Lord Is My Shotgun”, dove affianca il gruppo scozzese addirittura Robert Plant, impegnato all’armonica. Lo stesso ritmo e la stessa tensione rock arriva nella bellissima e sferragliante “City”, arricchita dalle chitarre distorte dell’ex guida dei My Bloody Valentine Kevin Shield, nonché nella convincente “Skull X”.

Ma anche quando Gillespie e soci si allontano dalle chitarre riescono talvolta a lasciare il segno. Succede quando abbandonano i tratti più marcatamente dance e trovano l’ispirazione per creare scenari elettronici affascinanti. Sono i momenti più sperimentali che arrivano col tributo ai Kratfwerk di “Autobahn 66”, dove l’elettronica si fa avvolgente e cullante, e con il delizioso viaggio sonoro di “A skanner Darkly”.

A completare il disco arrivano poi una curiosa cover di “Some Velvet Morning”, a firma Lee Hazlewood, cantata da Gillespie insieme a Kate Moss, e la dolce chiusura di “Space Blues #2” che chiude un lavoro dalle due facce, a volte irritante ma più spesso pieno di gradite sorprese.

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