MARCO PARENTE, Trasparente (Mescal/Sony, 2002)

Bellezza. Poesia. Parole abusate, ma non qui, non per questo disco. A tre anni da “Testa, dì cuore”, dopo essere sopravvissuto allo sfascio dell’ex C.P.I., Marco Parente torna e ci regala un’altra perla di rock d’autore stralunato, teatraleggiante ed intensissimo.

Complice la mano saggia di Manuel Agnelli in cabina di regia, Marco smussa gli spigoli sperimentali della sua arte, dando alle canzoni una veste appena più accessibile rispetto a quanto fatto in passato, anche se la sua musica rimane irrimediabilmente “altra” e straniante.

Un delicato giro di piano apre “lamiarivoluzione”, colonna sonora della “Rivoluzione poetica” iniziata il 20 giugno a Genova, quando la città venne inondata di poesie lanciate dal cielo; la dolcezza di questa canzone svanisce bruscamente poco dopo, quando arriva la chitarra elettrica di Paolo Benvegnù a infuocare “scolpisciguerra”, sfogo amaro, invito a fermare i massacri (“armi di tutto il mondo/ fermatevi a pensare”) mentre, su un sottofondo di fiati dissonanti, gli Scisma incontrano Jeff Buckley.

“farfalla pensante” è uno stupendo affresco pop, simile a certi episodi acustici dei Radiohead di “The bends”, e di nuovo la voce di Marco lascia senza fiato: il suo modo di cantare non riesce a non emozionare ogni volta. Di nuovo il quintetto di Oxford, stavolta del periodo “O.K. Computer”, è l’unico paragone possibile per la spettrale “come un coltello”, semplicemente una delle più belle canzoni che mi sia mai capitato di ascoltare (“cade leggera una parola/ come un sacchetto pieno di vento/ che ti soffia in faccia/ la bellezza”…non basterebbe un verso come questo a innamorarsene?).

“w il mondo (radiourlo)” e “derivanti” portano all’estremo il nuovo approccio minimale del suono del Nostro, con la voce lasciata libera di respirare all’interno dei pezzi; l’indole sperimentale rimane comunque difficile da soffocare per Marco, come dimostrano “anima gemella” (in assoluto la cosa più vicina alle atmosfere di “Testa, dì cuore”) e soprattutto quella scheggia impazzita che è “fuck [he]art & let’s dance”: provate a suonarla in un qualunque dancefloor…il dj sarà impiccato all’istante, ma saranno stati due minuti di pura genialità.

Una big band arriva ad illuminare gli episodi conclusivi del disco, la commovente storia di un bambino messo al mondo con il concepimento artificiale per salvare la sorellina (“adam ha salvato molly”) e la poetica “davvero trasparente” (“e cosa sto aspettando/a vivere così come siamo/davvero/senza che sia per forza speciale/perché è già speciale”), e Marco dimostra di padroneggiare magnificamente anche un linguaggio più classicamente jazz.

Una miriade di colori e di emozioni stanno in queste dieci canzoni, e lasciano, commossi, un’unica certezza: “Trasparente” è di una bellezza abbagliante.

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