COUSTEAU, Sirena (Palm Pictures Records, 2002)

Il loro esordio è stato uno dei più interessanti della scorsa stagione, uscito in sordina attraverso una distribuzione import, poi piano piano celebrato da varie riviste e soprattutto trainato da una pubblicità (sic!…) che aveva come tema la bellissima e romantica melodia di “The last good day of the year”. Gli agonizzanti rivenditori di dischi hanno avuto in questo modo un minimo di ossigeno dalle continue richieste di quel pezzo che fa così…

Morale, l’album vende più di 150000 copie, di cui una cospicua fetta nel nostro caro Belpaese, dove i cinque anglosassoni trovano un po’ la loro seconda patria, avviandosi in lunghe e ripetute tournée in locali e perfino in megaraduni. Certo che fa strano andare ad ascoltare il suono sornione e felpato degli oceanografici Cousteau (Jacques Cousteau fu il più famoso oceanografo del mondo) e probabilmente anche per loro il bagno di folla non sembra essere l’ambiente più adatto.

Questa è gente da night, volendo da piccoli morsi nei punti nevralgici dei lobi e tale tendenza sembra via via aumentare anche alla luce di questa loro seconda fatica, “Sirena” (indubbiamente l’ambiente acquatico stimola la fantasia del gruppo…).

L’aspetto estetizzante della loro sequenza musicale si sta rifinendo sempre più, assemblando influenze qua e là. Tali richiami e reminiscenze prendono i nomi per esempio dell’onnipresente Scott Walker, del primo Tom Waits, del Bowie dei momenti maggiormente intimi e lirici, fino a citazioni di gruppi meno conosciuti al grande pubblico come Danny Wilson, Deacon Blue e certo fortunato ed un poò plastificato cool jazz mid eighties.

Liam McKahey è senza dubbio un ottimo cantante, dallo stile tipicamente crooner, un baritono che sa stuzzicare i sentimenti attraverso interpretazioni di gran classe; la sua voce, insieme ad una presenza scenica importante, immersa in spessi cerchi di fumo, può essere l’immagine ideale di ciò che i Cousteau offrono. Così ogni pezzo (o quasi) possiede la sua tromba molto jazzy, la chitarra liquida e sovente qualche vapore d’archi.

“Sirena” suona più compatto rispetto al suo predecessore, ed altrettanto romantico: il problema sembra risiedere nella mancanza di un pezzo di grande impatto come il sopracitato “Last good day…” ed ahimè non sembra che possa essere rimpiazzato da un altro “last”, in questo caso “secret of the sea”. Comunque godiamoci la gentilezza ed il savoir faire di questi nightclubbers in pieno spleen, sembrano ancora sinceri e vogliosi di fare ascoltare motivi lussuosi e vagamente lascivi a chi ancora sta avidamente tirando da una Gitanes senza filtro.

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