KAM, Kamnesia (Hard Time Records, 2001)

La west coast che non ti aspetti. Né Dre, né Tupac né niente del genere. Kam è stato per molti anni un rapper fuori canone. Un rapper da Centro Sociale, un pensatore e un attivista. Innamorato dell’Islam e di Farrakhan (leader della Nation of Islam), e combattuto dal culto del ghetto che aveva fatto grandi i suoi maestri. Blood e Crips, le gang, significavano black power, ma significavano anche sangue. E Kam mirava a altro. Preso sotto tutela da Ice Cube, debutta col primo “Neva Again” nel ’93. Due anni dopo, “Made In America”. Le liriche sono impegnate. Sono più simili all’edutainment di Krs One che al nuovo standard dell’hip hop di Compton. Dre, Snoop e tutta la famiglia cercano dollari, droga, potere e fama. Le armi giuste per scalare la società dei bianchi. Kam invece ha una visione sociopolitica di tutt’altro genere. E se Farrakhan approva e ringrazia, il mercato lo ignora. Un vero peccato. Fatto sta che dopo sei anni Kam ritorna alla musica, ma qualcosa è cambiato…
Resta la militanza, è cambiata la voce che la canta. “Kamnesia”, sembrerà assurdo, è un album quasi commerciale. Quasi, perché gli argomenti sono quelli, gli intenti chiari e recisi. Ma le basi proprio non son le stesse. La scelta dei suoni caldi, melodici, lo stile classico californiano, lo riportano tra noi. Resta che la sua gente era abituata a un approccio diverso. I loop orecchiabili e i ritornelli facili facili potrebbero essere presi per una resa. La resa al mercato, per l’appunto. La consegna delle armi alla società cui aveva dichiarato guerra. E che combatteva dall’underground con la voce corrusca dell’underground. A essere onesti, “Kamnesia” almeno per la parte musicale è meno ‘interessante’ dei due album precedenti. Meno raffinato, meno complesso e meno un sacco d’altre cose. La qualità delle liriche e dell’mc’ing però non si discutono. Il flow caldo del nostro Craig Miller viene persino valorizzato dalle nuove produzioni, e i testi sono quelli. Sarcastici, diretti, eppure equilibrati. Alleggeriti (o carenti, dipende) della furia degli esordi. “Godbrotha”, è l’esempio più completo dell’evoluzione stilistica di Kam. E allora non serve nemmeno scandalizzarsi per una quasi cover dal classico reggae (dancehall) “Bam Bam”. Qui diventa “Bang Bang”, ma insomma…

Altre due righe per citare il buon singolo “Benefit” e l’ottima “Where I Come From”. Per trovare un difettuccio nella ripetitività delle basi, ancora loro. E per raccomandare l’ascolto di “Kamnesia”, non foss’altro per scoprire un modo di fare West Coast diverso dal solito. Ah, dimenticavo, trattasi di prodotto ‘import’. Vale a dire difficile da trovare, e caro. Accuorti…

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