CASA DEL FICO, Inadiiria (Extra Vibe/Virgin, 2001)

Sempre hip hop sarà, ma per lo meno particolare. In realtà non ci si dovrebbe stupire. C’è il reggae-hip hop (il ragamuffin), e l’R&B trascinato dentro al movimento dei pantaloni larghi. Questo si sa. La notizia è che da oggi c’è anche il funky-hip hop, a opera della Casa del Fico. Mi spiego. Il funky dentro al rap c’è dai tempi dei Digital Underground. Una scelta di beat, di groove, e di tutte quelle cose con nomi inglesi che descrivono corpo e anima di uno stile musicale. “Inadiiria” invece è proprio funk. Campionato e elettrificato al punto giusto, e sparato lassù dalle voci dei tre ‘fichi’. Piani e piani di suono, caos, melodia e chiasso in un ensamble kitsch stupefacente. Solo loro fanno una musica simile, e senza nemmeno pagare ingenuità da opera prima. Divertenti e diversi dall’hip hop italiano, e anche da tutto l’altro. Un inizio che è una conferma e una promessa per la scena nostrana. Si può ancora fare bene, anche se magari non così bene…
Kominsky, Il Mostro e Zi’zzed da Altamura, Puglia. C’è il dialetto misto all’italiano, ma sono dettagli. A colpire è il talento metrico, nella composizione e nel flow. Il canto, diciamo. Sa di strano usare termini come ‘flow’ o ‘base’. Sono termini che rimandano al rap, e quindi non sono appropriati. Il rap della Casa del Fico ha connotati tutti suoi, che non mi sforzerò troppo a descrivere. Dirò solo che è del tutto inedito. E virtuoso. Si va dagli sleghi incomprensibili a “La stanza d’oro”, una sorta di recitativo frammezzato da un ritornello alla Sottotono. Perfetto, anche questo. Negli altri pezzi la base (?) della strofa e la base del refrain si intrecciano, quasi si controcantano a vicenda. Come del resto i tre ‘fichi’. Che se ognuno ha la sua suite, il suo spazio dove esibirsi, gli altri due e ancora una valanga di campionamenti ne decorano la prestazione.

Un po’ oscuro, mi rendo conto. Ma è come mettere in parole un mosaico bizantino. Carico, opulento e difficile, se è un mosaico qualsiasi. Quando invece si tratta di capolavoro, la bellezza risalta sui barocchismi. I barocchismi del bizantino? Domando scusa. Ciò che dovrebbe restare è solo l’ammirazione. Un progetto musicale di tale portata è già un classico. Si tratta della gaia fuga dal bum-ciacca-bum del rap d’oggidì. L’ironia, il colore, l’esattezza di metriche e musiche. Un disco unico e rotondo nello stile, e divertente e caciarone nell’aspetto. Un disco epocale e non per il solo hip hop.

Segnalare un pezzo invece che un altro, a questo punto, sarebbe di cattivo gusto. La track list è tutto ciò di cui avete bisogno.

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