EELS, Souljacker (Dreamworks/Polydor, 2001)

Contaminazioni, ritagli, campionamenti, citazioni, clonazioni. Forse questo è l’unico modo per definire con precisione il genere musicale di gruppi come gli eels. Se da una parte questo può risultare spiazzante per le orecchie benpensanti, dall’altra può essere stimolante per quanti hanno voglia di stupirsi ed hanno fame di musica nuova ed interessante. Gli eels ci hanno abituato bene già in passato con album pregevoli come “Beautiful Break” e “Daisies Of The Galaxy”, in cui l’elettronica si sposava magicamente con la ruspante elettricità del rock. Con questo “Souljacker”, E. e i suoi compagni ci accompagnano lungo un affascinante viaggio in cui il rock attraversa gli stati di ibridazione più anomali e curiosi, per certi versi avvicinandosi di molto al discorso musicale portato avanti con successo da Beck.

Ad accoglierci ci pensa la prima traccia del disco, “Dog Faced Boy”, acido brano basato su un riff acido, degno del Robbie Krieger più lisergico, sopra cui si srotola la voce di E. rovinosamente e ostentatamente rauca. Con “That’s Not Really Funny” comincia il festival delle contaminazioni; la solita voce allucinata di E. viene circondata da un carnevale di orchestre mambo, apparentemente strappate con brutalità dalle canzoncine estive di Kelly Joyce. L’effetto è quanto mai spiazzante. Gli archi giocano un ruolo importante anche nella canzone successiva, “Fresh Feeling”, che pare confermare l’amore degli Eels per certi tipi di arrangiamenti (era possibile incontrare questo tipo di atmosfera anche in brani come “Selective Memory”, da “Daisies Of The Galaxy”). La delicata orchestra, accompagnata dal ritmo incalzante della batteria, crea suggestioni fortemente evocative, tanto da imporre questo brano come uno dei migliori dell’album. Fortunatamente c’è anche spazio per respirare aria di rock, normale, piano, pacificamente fischiettabile. Il compito di fare pace con la tradizione viene affidato a brani come “Friendly Ghost”, canzoncina leggera farcita di chitarrine soft e flauti sintetici sparsi qua e là che, se non fosse per la laringe grattugiata di E., potrebbe essere scambiata tranquillamente per una nuova canzone di Belle & Sebastian, oppure come “Woman Driving, Man Sleeping”, malinconica e piacevole ballata country.

Ma sotto le ceneri crepuscolari delle chitarre acustiche cova fremente il palpito del rock and roll che trova libero sfogo in “Souljacker Part I”. In questo brano, che è anche il primo singolo tratto dall’album, gli eels abbandonano momentaneamente i panni dei fini sperimentatori e tornano a cavalcare con rabbia e con gioia le maledette pentatoniche della musica del diavolo. La brutalità, la violenza di quel “ladro di anime” che uccide e ruba qualcosa che le vittime non sanno nemmeno di avere, è tutta contenuta negli scarni testi di E. e nella velocità di brani come questo, consumati e bruciati come un filo di benzina.

Una prova più che convincente per gli eels, che si confermano come gruppo decisamente all’avanguardia nel panorama dei generi indefinibili del rock.

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