PREMIATA FORNERIA MARCONI, Per un amico (RCA, 1972)

Si tratta dell’album gemello di “Storia di un Minuto”, uscito nel medesimo anno: perfino la durata è pressoché identica. Le caratteristiche stilistiche generali sono le stesse: valgano dunque le considerazioni già espresse. Il risultato è invece, in questa seconda prova del gruppo, inferiore. Non si tratta di un disco malriuscito, ma i cinque brani che lo compongono non raggiungono la qualità dei precedenti, che era dovuta anche ad una ottima coesione. Precisiamo subito che non mancano belle idee musicali. Le parti strumentali di “Appena un po'”, e particolarmente quella lunga d’esordio – che funge quasi da ouverture dell’intero album -, costituiscono anzi una delle vette compositive della P. F. M. Per una volta tanto possiamo applicare senza remore a questo pezzo il termine ‘barocco’. Ci paiono riusciti sia i momenti più delicati, dove si crea una sottile e raffinata trina intessuta di flauto, clavicembalo e chitarra acustica, sia quelli più robusti, come il ritornello tastieristico, che richiama quello omologo di “Impressioni di settembre”. Si tratta senza dubbio di una delle pagine più ‘crimsoniane’ della Forneria: col che intendiamo riferirci però esclusivamente ai King Crimson degli esordi, quelli di “In The Court Of The Crimson King”, anzi proprio alla canzone (quasi) omonima. Una delle sue sezioni, intitolata “The Dance Of The Puppets”, trova qui un suo equivalente, un suo sviluppo quasi, nello strumentale centrale, graziosamente medievaleggiante e spigliatamente ritmato. Con ciò si è voluto solamente segnalare un’ipotesi di confronto, relativa a questi due brani, e non postulare una dipendenza diretta della band italiana da quella britannica: la quale peraltro non poteva che essere, in Italia come in Gran Bretagna, un fondamentale punto di riferimento. Purtroppo il risultato finale è parzialmente inficiato dall’emergere con forza della endemica zoppìa vocale di Pagani e compagni che, francamente, si traduce anche in una lirica un po’ pallida. La seconda traccia – “Generale” – è sufficiente a spazzare via qualsiasi illazione sulla mancanza di autonoma ispirazione e originalità da parte della P.F.M. Si tratta del pendant, interamente strumentale, di “E’ festa”, lungo la strada della ricerca di un suono personale, italicamente solare. Il ritmo è travolgente, quasi contagioso: una musica che non assomiglia a nessun’altra; e questo è un merito non di poco conto. Azzeccato è l’uso del violino, il cui suono viene parzialmente imitato dalla chitarra elettrica e dalle tastiere: dal sottofondo emerge il pianoforte. Un discorso a parte merita la variante interna del pezzo: una classica marcetta. Questo genere di composizione è stato assai frequentato dal progressive, che l’ha interpretato in varie forme. Ricordiamo qui alcuni esempi che ci servono di confronto: tre di ambito inglese e due di ambito italiano. Iniziamo dalla marcia militaresca, in crescendo, con cui si apre “The Battle of Epping Forest” dei Genesis, canzone di argomento ironicamente bellico; l’album è “Selling England by the Pound”, del ’73. Gli altri due casi del prog britannico li ricaviamo invece dai Camel. Il primo riguarda la prima parte, intitolata “The Procession”, di “Nimrodel”, terza traccia dell’album “Mirage”, datato 1974. Il secondo si riferisce invece al primo brano – “Aristillus” – dell’album “Moonmadness”, anno ’76. Un po’ atipica e a parte, nonostante il titolo, è invece “The Great Marsh”, sempre dei Camel, da “The Snow Goose” del ’75. Tutti e tre gli esempi succitati seguono dunque cronologicamente l’opera della P.F.M. In ambito italiano possiamo indicare due composizioni del Banco del Mutuo Soccorso: “Traccia”, dall’album d’esordio del gruppo, contemporaneo di “Per un amico”, e “Traccia II”, dal lavoro dell’anno seguente, “Io sono nato libero”. Siamo pronti a scommettere che qualche lettore non sarà d’accordo con noi, almeno riguardo ai due ultimi brani citati. Noi siamo invece del parere che essi possano essere ricondotti proprio alla forma della marcia. In definitiva da quanto detto ricaviamo alcune riflessioni. Innanzitutto risulta evidente come la Forneria sia pienamente inserita nell’ambito culturale progressivo. In secondo luogo che in questo ambito essa ha operato talvolta in anticipo rispetto ai blasonati concorrenti. Non pensate però che noi si faccia una montagna di un sassolino: ci siamo serviti di un singolo caso per dare conto concretamente del nostro più generale assunto: insomma, una sineddoche, la parte per il tutto. Il parallelo più interessante si instaura con il brano dei Genesis. Pur diversissime, “Generale” e “The Battle…” hanno, guarda caso, una comune tematica latamente marziale, in cui la forma della marcia si inserisce a meraviglia. Anche tipologicamente e strumentalmente la somiglianza è notevole: si tratta di due marce allegre, leggere, di grazia settecentesca, laddove quella italiana tende maggiormente al popolaresco. La ripresa del tema principale è preceduta da un solitario intervento di organo Hammond. Nel cuore del disco troviamo poi la title track, con la quale ci si offre un’altra prova convincente: è brano compatto, che alla lunga riesce quasi a far dimenticare la sezione vocale, anche qui, tanto per cambiare, tendente all’evanescente. Il fatto è che, una volta abituato l’orecchio, le belle parti strumentali, qui e in altri brani, fanno sì che il cantato non sfiguri più di tanto; che, anzi, sembri conforme allo stile del gruppo. Il meglio dell’album termina qui. – E “Il banchetto”? – direte voi. Effettivamente “Il banchetto”, che occupa grosso modo il ruolo che “La carrozza di Hans” ha in “Storia di un minuto”, vale a dire quello di canzone composita e di consistente lunghezza, può rivendicare al suo attivo il testo migliore di tutto l’album, molto progressivo nella sua struttura dialogata e nel tono ironico e favolistico. Anche la musica è condotta su questo tono, specialmente nella prima parte e nella ripresa conclusiva. Tuttavia, e veniamo alle critiche, non manca la zavorra, individuabile per lo più nel lungo strumentale centrale, non molto brillante, ammuffito: specialmente a causa dei pesanti birignao tastieristici. Decisamente migliore il seguente assolo di pianoforte, oscillante fra i caratteri della sonata classica e quelli del jazz. Il punto dolente di “Per un amico” ci viene incontro però proprio nell’ultima traccia, cioè “Geranio”. Nelle intenzioni voleva probabilmente essere l’equivalente di “Grazie davvero”, della quale conserva i frequenti cambi di ritmo, i repentini scarti dello strumentale e della melodia. Ma in questo caso il risultato è farraginoso, fiacco, tirato per le lunghe. Il meglio sono i primissimi e delicati secondi iniziali; poi il brano si diluisce in una soluzione assai poco significativa. Tediosa la monotona coda finale. Considerata la durata di otto minuti (è la traccia più lunga dopo “Il banchetto”), su un totale di circa 34, il giudizio sul caso singolo non potrà che influenzare quello complessivo. Tutti i brani portano la firma Mussida-Pagani-Premoli.

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