Intervista ai Monovox

a cura di Samantha Colombo e Max Cavallaro

Columbia/Sony Music, Milano – 02:00pm
Fa un certo effetto aspettare nei corridoi di una major, tra cartonati di superstar patinate e targhette alla memoria di successi che furono. Fa un certo effetto quando temi che da una delle tante porte potrebbe saltarne fuori un burocrate dello show businness pronto ad annoiarti con i suoi numeri e le sue frasi da manuale. Fino a che una porta non si apre per davvero, ed in un istante non ti trovi assorbito dall’entusiasmo di un gruppo di giovani musicisti torinesi, cinque sorrisi che catturano, cinque sguardi di chi, con passione e con fortuna, sta realizzando nelle propria vita quotidiana il sogno di sempre.


i Monovox, da sinistra: Mastro (keyboards), Andre (voce), Cristriano (guitar), Mattia (drums), Ivee (bass)

Beh, iniziamo dalle basi… Il significato di Monovox?

Andre, cantante, prende subito parola:
Il nome della band è nato alla fine della nostra prima storia musicale, parliamo degli Hogan, quando con in pratica quattro quinti degli attuali Monovox decidemmo di intraprendere una nuova strada, ricominciare da zero con un nuovo batterista, ricominciare sotto un nuovo marchio, Monovox appunto: letteralmente “unica voce”. E’ un nome secondo noi facile da ricordare, non significa nient’altro che un unico pensiero musicale, collante delle nostre idee.

Una band a tutto tondo, insomma…
Andre:
Certamente, il nostro concetto di band è fortissimo!
I Monovox sono il frutto di una nuova tendenza musicale italiana che ha radici nel sound proveniente dall’elettronica degli anni ’80, alla quale i Nostri aggiungono all’impianto sonoro riff chitarrosi tipici invece dei ’70. Un esempio? La struggente “Interferenze”, dove i Monovox si fanno accompagnare in un viaggio psichedelic-rock dal primogenito grunge di casa nostra, Manuel Agnelli (frontman degli Afterhours). Ma se ascoltaste l’album un po’ distrattamente, vi salterebbero subito alle orecchie analogie elettro-sound tipiche dei loro mentori…

Il vostro lavoro presenta cromature molto “subsoniche”…

Andre:
Il nostro produttore artistico è Boosta dei “Sonica“… Ma noi, oltre ai loro dischi, abbiamo consumato quelli dei Bluvertigo, dei Supergrass



Monovox

Biancoshock
(Sony Music, 2000)

Interviene il manager, nonché fratello del cantante:
Ho scelto di occuparmi dei Monovox solamente quando mi hanno garantito una loro partecipazione totale al progetto, cioè l’intenzione di convogliare tutte le energie disponibili nella musica. Questa non è una boy band dal progetto pianificato, siamo sei persone che ragionano all’unisono… Già perché io mi considero un po’ il sesto Monovox, nel senso che vivo, mi emoziono, mi incazzo e agisco insieme a loro. Quando ho deciso di seguire questi ragazzi, ho cercato un produttore che li aiutasse a fare il giusto salto di qualità, e quel produttore era giust’appunto Boosta, mio amico d’infanzia. E’ stato in grado di insegnare il proprio stile, o meglio, il proprio metodo lavorativo ai Monovox, facendoli crescere sul lato musicale in tempi brevissimi, raggiungendo risultati qualitativi che una band raggiunge solamente dopo alcuni anni d’esperienza.

Sempre a proposito di altri gruppi, che ne pensate del paragone con i LùnaPop?
Risponde Mastro, tastierista:
Noi non critichiamo i LùnaPop, per carità, i loro numeri parlano da soli! Ci sentiamo diversi, e il nostro disco ne è la testimonianza…

E il vostro rapporto con il pubblico?
Mastro:
A livello di immagine non siamo certo costruiti…

Ma vi rivolgete ad un target preciso?
Andre riprende:
I nostri pezzi non sono costruiti a tavolino. Ad esempio nell’album ne abbiamo inserito uno che non ha età come “Impressioni di Settembre” della P.F.M. Che anche Francesco Renga ha riproposto nel suo album (nel suo repackaging, ndA), anche se noi prima di lui! [risate!…] Per quanto riguarda i nostri testi, invece, sono presenti mondi diversi, che corrispondono alle diverse sensazioni provate di volta in volta nel momento in cui nasceva un brano. E poi, noi amiamo giocare con la tecnologia…

Parliamo di Torino, la vostra città. Che spazi offre alla musica live?
Manager:
Non voglio entrare nel merito politico… Torino è attualmente la capitale della nostra musica! Non abbiamo mai suonato in una birreria, ma piuttosto in piccoli club dove si va “per ascoltare” musica. A Torino si respira un’aria molto artistica: gruppi storici come i Mau Mau, Subsonica, Africa, Fratelli di Soledad, Mao, Amici di Roland, Dottor Livingston e più recenti come noi ed i Medusa, si sono scambiati idee, alcuni si sono sciolti altri hanno intrappreso nuove strade. Se ti piace la musica, vieni ad ascoltarla in questa città, potresti inbatterti in qualche club e sentire nuove sonorità derivanti magari da un gruppo ancora sconosciuto.
E mentre scopriamo Torino come una nuova Seattle dei primi anni ’90, ci congediamo dai Monovox volando via su onde stereo, onde elettriche che ci portano via lontano. Queste sono parole, ma la musica continua a scorrere, senza fine, e diventa energia, diventa una carica che ti fa capire quanto, delle volte, un sogno sia tanto forte da farsi strada nella vita stessa.
Da diventare musica e vita stessa.
To be continued…