YES, Fragile (Atlantic, 1972)

Tony Kaye è sostituito alle tastiere da Rick Wakeman, autentico virtuoso, considerato uno dei più grandi di sempre nel suo settore. Per la verità la presenza di Wakeman non produce un salto qualitativo ulteriore rispetto a “The Yes Album”. Il gruppo inglese aveva già raggiunto un alto livello: e Tony Kaye era già un eccellente strumentista. Il ’72 è comunque considerabile l’anno d’oro per eccellenza di Anderson e compagni: esso produrrà anche “Close to the Edge” e il live tour che porterà all’incisione di “Yessongs”. Con “Fragile” gli Yes impongono definitivamente il loro stile e la loro musica: un progressive rock che, pur facendo della tecnica individuale uno dei suoi punti di forza, non eccede in virtuosismi gratuiti, come qualche sprovveduto ha talvolta affermato. E comunque non nelle realizzazioni migliori, che sono quelle che contano nella storia del rock. Brani come “Roundabout”, “South Side of the Sky” o “Heart of the Sunrise”: la loro complessità ritmico-melodica, in cui spicca la straordinaria voce di Jon Anderson, “l’usignolo del rock”, capace di di reggere i toni cuti con naturalezza impressionante e senza cedimenti (e se vi mostrate scettici provate a cantare al suo stesso tono), non può lasciare indifferente l’ascoltatore attento. Certo c’è qualche elemento che si potrebbe definire superfluo, o quantomeno rinunciabile. Tale è, a nostro modesto avviso, la pur famosa “Cans and Brahms”, breve rivisitazione “tastieristica” dell’arcinoto tema fondamentale del terzo tempo (Allegro giocoso) della quarta sinfonia di Johannes Brahms: un divertissement, in ogni caso gradevole, del talentuoso Wakeman; che qui compie un’operazione alla Keith Emerson, altro grande strumentista amante della musica classica. Anche un intermezzo quale “Five per Cent for Nothing” (35 secondi) si poteva tranquillamente tralasciare senza rompere alcun equilibrio. Con “Mood for a Day” Steve Howe ripete l’esperimento già riuscito con “The Clap”: un pezzo per sola chitarra acustica di tecnica eccelsa. Compositivamente, a nostro modo di sentire, è persino superiore al primogenito. Bella la ripresa a sorpresa di “We have Heaven” alla fine di “Heart of…”, che chiude l’album. Il brano migliore? Non sapremmo: forse “Roundabout”, forse “South Side…”, dall’esordio memorabile, dove il basso potente di Squire sovrintende alle danze, cioè alla perentoria chitarra di Howe. In definitiva “Fragile” cede un poco in compattezza all’album precedente degli Yes, ma è opera senz’altro di prim’ordine.

La bella copertina è la prima che porti la firma di Roger Dean, d’ora in poi abituale collaboratore del gruppo.

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