Independent Days Festival (Bologna) (3 settembre 2000)

Si presentano i Muse, inglesi, e punk al punto giusto. Per me che mi considero uno spettatore un po’ avulso, e anche un bel po’ ignorante, sono sembrati quello che nell’hip hop si chiama old school. Ossia il punk come uno se l’immagina. Grandi scuotimenti di chiome, chitarre ad altezza di ginocchio, salti e urli, un gran rumore. Il culmine, la chitarra sbattuta per il palco e il cantante che si cimenta in un bass-jumping. Si lancia sul bassista che lo scarrozza tutto intorno alla batteria tra le grida, le corna e i ‘fuck’ del calororso pubblico. Il pubblico… Io stavo un po’ defilato, nei pressi dei tecnici del suono. Lì davanti vedevo volare bottiglie d’acqua, scarpe, detriti indecifrabili, e gente. Un ragazzo a piedi in alto tirato su e scaraventato via qualche testa più in là. E sembrava divertirsi. Bene, il pubblico di seminudi sotto il grill del pomeriggio aveva trovato di che sfogarsi. Dopo i Muse, i No Use For A Name. Aneddoto: dopo ogni canzone, il cantante beveva un sorso dalla sua bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. E poi la lanciava sulle teste delle prime file, per l’entusiasmo popolare. A seguire, i Punkreas, per i quali c’è anche stato un primo accenno di pogo. Non che gli altri gruppi facessero meno voglia, è che ora il caldo iniziava a far meno male. O forse ci si era abituati, non so. Gli unici immobili, gli irriducibili. Le prime file, i primi tre metri di pubblico che avrebbero pogato sin da mezzogiorno, ma che nella calca a malapena riuscivano a rimettere a posto le braccia, dopo averle agitate per aria.

Verdena segnano il vero intervallo del concerto. Li stanno a sentire in pochi, molti ne approfittano per visitarsi un po’ di Festa dell’Unità. A proposito di intervalli. Sarà anche normale, che più importante è il gruppo che aspetti, è più a lungo lo devi aspettare. Ma è possibile che nella pausa tra un artista e l’altro passassero solo dub, tecno, reggae e hip hop?

Okay, ritorniamo sul palco. Suonano i Millencolin, svedesi e molto apprezzati. Con loro finisce l’antipasto. L’attesa per i Deftones si consuma con tutti a puntare il palco, in piedi, per venti minuti abbondanti. Quando alla fine sono là, ricevono un’accoglienza gloriosa, e saranno i più acclamati di tutto il concerto. Prima dell’ultima canzone ne approfittano per dare una spallata, la più tenera della serata, ai Blink 182. Gentilmente li chiamano ‘Weak’ 182, una specie di ‘Loffi’ 182. Prima del piatto forte, dei Limp Bizkit e dei Blink, qualche riga per registrare due risse tra il pubblico, con nasi rotti e tanta confusione, e il ph del pubblico divenuto ormai acidissimo. Dopo ore di concerto, sempre in piedi, sotto un caldo maledetto, scende la sera col suo gelo vigliacco. Un nuvolone promette pioggia ma non mantiene. Porta in compenso vento freddo, che assommato all’attesa più che raddoppiata fa salire il nervosismo in maniera palpabile. I Limp Bizkit si salvano. Mischiare hard rock e hip hop aveva già convinto Ice-T, che fondò i mediocri Body Count, e i Cypress Hill, come documenta il secondo cd del loro recente “Skulls&Bones”. I Limp però mischiano meglio i generi, e vengono premiati da un pubblico insieme divertito e intrigato. Infine, il fattaccio, la pietra di marmo sopra il concerto. Siamo intorno alle dieci e mezzo, esausti, infreddoliti, affamati, e furenti contro i Blink 182 che si fanno aspettare se possibile anche più dei Limp. Poi, lì in mezzo non ci facevano nulla. La gente di questo concerto ascoltava punk e heavy metal. Proprio non era disposto a farla passar liscia ai nuovi leader del pop mondiale. Il risultato è stata un’esibizione segnata da lanci di oggetti di ogni tipo, di bottigliette d’acqua, sassi e quant’altro. Con loro a schivare e a beccarsi i fischi, mentre gli spettatori ancora sul posto si avviavano verso i cancelli.

Fine. Lo ripeto, a me il concerto non è piaciuto, ma ho spiegato le mie ragioni in cima a queste righe. I ragazzi che hanno cacciato le cinquanta mila lire invece sembravano esausti ma soddisfatti. Con le grosse eccezioni di No Use For A Name (in parte), dei Verdena e dei Blink 182. Un’ultima cosa. Il concerto sarà trasmesso su Videomusic (sic), vale a dire TMC2, non ricordo quando. Direi questo lunedì 4 settembre e il prossimo. In televisione potrebbe essere molto più godibile.

So di non essere la persona più adatta per parlarvi di un concerto punk-rock. Chi scrive è il vostro affezionato redattore di hip hop, che per una circostanza fortunata ha avuto la possibilità di assistere a questo mega evento tardo-estivo. Vi parlerò del concerto, restando sul prudente per quel che riguarda l’aspetto musicale, per il quale mi affido ai commenti di chi fra voi era presente, domenica tre settembre. Allora, il posto. Un’arena con collinetta a fare da gradinata, e il palco davanti, lontano lontano. Un caldo micidiale, non una bava d’ombra. Il mio finanziatore acquista una maglia ricordo dell’evento, di cui mi approprio per proteggermi dalla botta del sole. Sono le due del pomeriggio, e il concerto inizierà solo tra due ore (e finirà a notte inoltrata). Mi annodo la maglia alla testa, a mo’ di vecchietta siciliana, quando inizia lo show.

Si presentano i Muse, inglesi, e punk al punto giusto. Per me che mi considero uno spettatore un po’ avulso, e anche un bel po’ ignorante, sono sembrati quello che nell’hip hop si chiama old school. Ossia il punk come uno se l’immagina. Grandi scuotimenti di chiome, chitarre ad altezza di ginocchio, salti e urli, un gran rumore. Il culmine, la chitarra sbattuta per il palco e il cantante che si cimenta in un bass-jumping. Si lancia sul bassista che lo scarrozza tutto intorno alla batteria tra le grida, le corna e i ‘fuck’ del calororso pubblico. Il pubblico… Io stavo un po’ defilato, nei pressi dei tecnici del suono. Lì davanti vedevo volare bottiglie d’acqua, scarpe, detriti indecifrabili, e gente. Un ragazzo a piedi in alto tirato su e scaraventato via qualche testa più in là. E sembrava divertirsi. Bene, il pubblico di seminudi sotto il grill del pomeriggio aveva trovato di che sfogarsi. Dopo i Muse, i No Use For A Name. Aneddoto: dopo ogni canzone, il cantante beveva un sorso dalla sua bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. E poi la lanciava sulle teste delle prime file, per l’entusiasmo popolare. A seguire, i Punkreas, per i quali c’è anche stato un primo accenno di pogo. Non che gli altri gruppi facessero meno voglia, è che ora il caldo iniziava a far meno male. O forse ci si era abituati, non so. Gli unici immobili, gli irriducibili. Le prime file, i primi tre metri di pubblico che avrebbero pogato sin da mezzogiorno, ma che nella calca a malapena riuscivano a rimettere a posto le braccia, dopo averle agitate per aria.

Verdena segnano il vero intervallo del concerto. Li stanno a sentire in pochi, molti ne approfittano per visitarsi un po’ di Festa dell’Unità. A proposito di intervalli. Sarà anche normale, che più importante è il gruppo che aspetti, è più a lungo lo devi aspettare. Ma è possibile che nella pausa tra un artista e l’altro passassero solo dub, tecno, reggae e hip hop?

Okay, ritorniamo sul palco. Suonano i Millencolin, svedesi e molto apprezzati. Con loro finisce l’antipasto. L’attesa per i Deftones si consuma con tutti a puntare il palco, in piedi, per venti minuti abbondanti. Quando alla fine sono là, ricevono un’accoglienza gloriosa, e saranno i più acclamati di tutto il concerto. Prima dell’ultima canzone ne approfittano per dare una spallata, la più tenera della serata, ai Blink 182. Gentilmente li chiamano ‘Weak’ 182, una specie di ‘Loffi’ 182. Prima del piatto forte, dei Limp Bizkit e dei Blink, qualche riga per registrare due risse tra il pubblico, con nasi rotti e tanta confusione, e il ph del pubblico divenuto ormai acidissimo. Dopo ore di concerto, sempre in piedi, sotto un caldo maledetto, scende la sera col suo gelo vigliacco. Un nuvolone promette pioggia ma non mantiene. Porta in compenso vento freddo, che assommato all’attesa più che raddoppiata fa salire il nervosismo in maniera palpabile. I Limp Bizkit si salvano. Mischiare hard rock e hip hop aveva già convinto Ice-T, che fondò i mediocri Body Count, e i Cypress Hill, come documenta il secondo cd del loro recente “Skulls&Bones”. I Limp però mischiano meglio i generi, e vengono premiati da un pubblico insieme divertito e intrigato. Infine, il fattaccio, la pietra di marmo sopra il concerto. Siamo intorno alle dieci e mezzo, esausti, infreddoliti, affamati, e furenti contro i Blink 182 che si fanno aspettare se possibile anche più dei Limp. Poi, lì in mezzo non ci facevano nulla. La gente di questo concerto ascoltava punk e heavy metal. Proprio non era disposto a farla passar liscia ai nuovi leader del pop mondiale. Il risultato è stata un’esibizione segnata da lanci di oggetti di ogni tipo, di bottigliette d’acqua, sassi e quant’altro. Con loro a schivare e a beccarsi i fischi, mentre gli spettatori ancora sul posto si avviavano verso i cancelli.

Fine. Lo ripeto, a me il concerto non è piaciuto, ma ho spiegato le mie ragioni in cima a queste righe. I ragazzi che hanno cacciato le cinquanta mila lire invece sembravano esausti ma soddisfatti. Con le grosse eccezioni di No Use For A Name (in parte), dei Verdena e dei Blink 182. Un’ultima cosa. Il concerto sarà trasmesso su Videomusic (sic), vale a dire TMC2, non ricordo quando. Direi questo lunedì 4 settembre e il prossimo. In televisione potrebbe essere molto più godibile.