EMINEM, The Marshall Mathers LP (Aftermath Ent. / Interscope Records, 2000)

Come un fumetto acido, di nome Slim Shady, o come la folle vita del giovane artista, di nome Eminem. E Marshall? Questo secondo album completa la serie. “The Marshall Mathers” schiera il solito repertorio di vita vissuta, e la vena micidiale del malvagio Slim Shady. Ma queste maschere non sono più sole. Fa il suo debutto il titolare, l’attore e non il personaggio, la persona e non l’artista a raccontarci la sua realtà. Il biondo spilungone alla corte del nero più importante del rap, il bianco del ghetto, il rapper più noto (famigerato?) della scena americana. E dunque mondiale.
Persino in Italia ce ne siamo accorti, anche se un po’ in ritardo, e un bel po’ lentamente. Il sito ufficiale di Eminem dopo aver ricordato il milione e settecentomila copie della prima settimana negli States, e mentre annuncia il quinto platino, prende a parlare del resto del mondo. E vanno bene i quattro platini in Canada, ma la notizia è l’Europa. Un po’ dappertutto è già disco d’oro, in Inghilterra è stato primo nelle charts, ora credo sia secondo, lì intorno insomma. Grossa lacuna, l’Italia che non compare affatto. Probabilmente è ancora un po’ presto perché il rap mieta anche da noi. Solo, un rammarico. Sentendo un po’ in giro ho avuto l’impressione che Eminem fosse considerato una specie di Van Damme del rap. Un ciarlatano, insomma. La firma di Dre, produttore e protettore (diciamo pigmalione va’), dovrebbe essere una garanzia sufficiente, e comunque gli effetti speciali dell’album sono tutti di Eminem e soci. Il signor Marshall Mathers vinse il campionato mondiale di freestyle a Los Angeles, e con la penna in mano aveva già liberato il talento di paroliere di gran classe. “Slim Shady EP” lo scrisse, e credo persino lo pubblicò, prima dell’arrivo di Dre, che ci mise poi le sue produzioni e la sua esperienza. Il successo commerciale è una conseguenza, e non una tara.

When I just a little baby boy,
my momma used to tell me these crazy things
She used to tell me my daddy was an evil man,
she used to tell me he hated me
But then I got a little bit older and I realized,
she was the crazy one
But there was nothin I could do or say to try to change it
cause that’s just the way she was

Ma veniamo all’album. Mai bollino fu più appropriato. Il “Parental Advisory” sulla copertina dovrebbe difendere il ragazzino da tracce non solo sboccate, ma realmente shockanti, offensive nel senso più puro. C’è quella in cui Eminem uccide sua madre e quella in cui tortura e uccide una ex, poi c’è Slim Shady che ci informa, nel singolo trainante dell’album, del rapporto orale (in senso biblico) fra Christina Aguilera e Fred Durst dei Limp Bizkit. Niente male eh! C’è anche Marshall che ci parla del suo fans, di Stan, che uccide la sua ragazza (incinta) e muore perché trascurato da Eminem. Ancora Marshall Mathers che ci rivela “The Way I Am”, e i turbamenti della star in “Marshall Mathers”. Molte maschere, ma un solo stile. Le tracce paradossali, quelle amare e quelle folli e disperate godono la medesima classe e il talento del miglior Eminem. La fantasia e la creatività innanzitutto, ma le metafore e le trovate linguistiche sono appena il primo livello. Di altissima qualità, certo, solo che il carisma dell’mc ha bisogno anche di altro. Di carisma, appunto. La capacità di far passare il suono, l’energia oltre il senso. In una parola, il flow. E al momento, quanto a flow, Eminem è insuperabile. Questo l’mc. Per quel che riguarda le produzioni, la mano di Dr Dre ha la solita limpida ispirazione, meno felici le altre. Che poi sono quelle di Eminem, comunque di livello accettabile. Niente da dire sulla traccia più sorprendente (insieme a “Drug Ballad” e “Marshall Mathers”, entrambe con Eminem al mixer). Per “Stan” va in produzione una leggenda dell’hip hop quale The 45 King. La base è discreta, non ubriaca, è leggerissima e sfumata, e tesa. Tesa fino all’ultima nota, e ben diversa dall’opulenza melodica di Dre a cui anche Eminem si ispira.

OKAY, I’M READY TO GO PLAY
I GOT THE MACHETE FROM O.J.
I’M READY TO MAKE EVERYONE’S THROATS ACHE

La somma di tutto è un album sensazionale. Per i testi, per le produzioni, per la qualità del messaggio. Un altro merito però va ascritto al giovane Marshall, e riguarda la sua immagine. Eminem è riuscito a rendere commerciabile e popolare un discorso acre e indigesto. E’ un artista scomodo, abbastanza maleducato da essere uno di quegli eroi maledetti che tappezzano le camerette degli adolescenti. Invece è un insieme di contraddizioni. I malesseri e le lotte di cui ci parla sono solo roba sua, e non è facile farne il simbolo di qualcosa. Tanto più che, lo ripeto, è il rapper più famoso del momento, è bianco, ma sta di casa col campione dell’hip hop nero. Per qualcuno potrebbe essere la morte degli ideali, o la povertà spirituale dei giovani d’oggi. Che so, un segno dei tempi. Visto il successo e lo splendore di tanto album, chi non concepisce il bianco del ghetto si goda almeno lo spettacolo. Bel colpo!

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