Album sporchissimo per un Weller sempre più arrabbiato, capace ancora di sfasciare camere di hotel come uno splendido angry boy. Già il titolo può aiutare in modo decisivo a capire l’evoluzione del Nostro… L’opera, ad un primo ascolto, appare quasi senza una produzione, tanto le chitarre sono volutamente fuori controllo, con un grande uso di feedback. Ad un più attento esame, con la dovuta pazienza, la melodia si fa strada, come del resto non potrebbe essere altrimenti avendo a che fare con un tale temperamento eclettico, artista capace di passare dal punk alla delicata melodia con chitarra acustica in un batter d’occhio. Album da amare piano piano quindi, lasciandosi portare dalle tremende irruenze blues di “Peacock suit” o dall’incedere epico di “Brushed”, abbandonandosi a splendide finezze come “Up in Suzes’ room” o “Friday street”, degne di divenire classici nel repertorio d’oro dell’ex leader dei Jam e Style Council. Grazie zio Paul, grazie di mostrarci la strada per una sana e costruttiva incazzatura, per sempre giovani e arrabbiati come Richard Burton in un vecchio film ormai dimenticato, se mai fosse stato ricordato…
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