THE VASELINES, Enter The Vaselines (Sub Pop, 2009)

Ci sono gruppi che fanno la storia (o una piccola parte di essa) proprio perchè (quasi, e più avanti vedremo l’importanza di questo “quasi”) nessuno comprò o ascoltò i loro dischi. Senza dover scomodare i soliti Velvet Underground quest’oggi ci potremmo accontentare della storia decisamente meno nota degli scozzesi Vaselines, approfittando della concomitante pubblicazione di una raccolta antologica ad essi dedicata dalla sempre lodevolmente lungimirante Sub Pop. Un doppio cd che adunando in una smilza valigetta di cartoncino rigido ep, registrazioni live, demo e l’intera tracklist dell’unico lp pubblicato (“Dum Dum”, del 1990), si configura all’occhio retrospettivo del collezionista postumo come una sorta di “Collected Works” ultimativo.

I Vaselines erano (o meglio sono, visto che il gruppo ha ricominciato ad esibirsi nel 2006) sostanzialmente due tipici ragazzi scapigliati della Glasgow di fine anni Ottanta, Eugene Kelly e Frances Mckee, più altri occasionali compagni di viaggio, e la loro musica era un garage low-fi straordinariamente melodico e minimale che sembrava aggrovigliare un compromesso perfetto tra le sgualcite sonorità noise introspettive di Beat Happenig, Dinosaur Jr. e, a tratti, Sonic Youth con l’incanto poetico delle diafane band neo-sixties della generazione C86 britannica (Jesus & Mary Chain, Pastels, Felt, Wedding Present, Shop Assistants etc etc). Fossero usciti fuori oggi, considerato il sorprendente successo di gruppi come Vivian Girls, The Pains Of Being Pure At Heart e compagnia riverberante, avrebbero guadagnato l’ambito tondino rosso di Pitchfork e sarebbero diventati qualcuno nel rapidissimo giro di due click sui blog “giusti”, all’epoca dovettero invece accontentarsi di un piccolo culto carbonaro (ma forse era proprio ciò che volevano) e dell’insistito supporto di quello che potremmo definire, con abusato gergo nazional-televisivo, un “partner d’eccezione”, vale a dire Kurt Cobain.

Fu proprio lui infatti, l’uomo che si portò il rock (o per lo meno ciò che restava del suo mito logorato) nella tomba, a scorgere nel gruppo scozzese straordinarie potenzialità espressive, tanto da coverizzare la loro “Jesus Doesn’t Want Me for a Sunbeam” (forse il pezzo in assoluto più emblematico della band scozzese) nell’epocale “Mtv Unplugged In New York” del 1994, inserendo inoltre la bellezza di altre ben due cover, “Son Of A Gun” e “Molly’s Lips”, nell’album-miscellanea “Incesticide” del 1992. Tutti pezzi che ritroviamo nella raccolta in questione, piccoli capolavori precari di innocenza friabile, scarabocchi tascabili di punk-pop postadolescenziale incisi con grafia volutamente naif e tremante su sottilissimi fogli di noise opaco e spiegazzato. Le canzoni sono abbastanza simili, tutte più o meno caratterizzate dalla proverbiale alternanza di voce maschile e femminile, con coretti spectoriani (prendete la mirabile “Monsterpussy”, disponibile anche in versione live), inesistenti microassoli surf-garage infagottati nel feltro spesso di feedback spelacchiati, e una batteria (talvolta soppianta da curiose drum-machine rudimentali, come succede in “You Think You’re A Man”) che non “tiene” il tempo e anzi lo sospende e dilata in un lontano respiro letargico che non vorrebbe svegliarsi mai. Per alcuni il paradiso inverato, per altri, forse, un tedio risparmiaibile, eppure un pezzo come “No Hope” resta senza dubbio alcuno un piccolo grande miracolo di poesia rinunciataria velevettiana che non può lasciare davvero indifferenti, e che anzi saprà incantare fino alle lacrime tutti quelli che da sempre militano con orgoglio e aristocratica noncuranza nell’ala “perdente” della battaglia senza tempo per la vittoria finale della Purezza.

Non propriamente originali né unici, i Vaselines rimangono comunque un bellissima testimonianza di un (non) periodo storico (dal punto di vista musicale ma non solo) in cui tutto sembrava essersi fermato (forse per sempre) per non andare da nessuna parte in particolare e tanto valeva allora costruirsi un piccolo mondo inventato di canzoni innocenti e profondamente superficiali come un romanzetto rosa gualcito, nel quale nascondersi in attesa di tempi migliori (che molto probabilmente non sarebbero mai arrivati). Talmente legati al proprio milieu socio-culturale di appartenenza questi Vaselines da risultare, del tutto paradossalmente (ma forse no), un gruppo più che attuale e capace di “parlare” e dire cose che, almeno in una certa misura, riguardano ancora molti di noi. Provate a chiedere ai The Pains Of Being Pure At Heart (che potrebbe essere il titolo di una loro canzone).

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