7 brani di Wayne Shorter (1933-2023)

Wayne Shorter

Quando vengono a mancare certe figure, ci sentiamo prima di tutto colpiti; poi, irrimediabilmente persi. Come dopo un montante ben assestato, si gira a vuoto perdendo per qualche frazione di secondo ogni riferimento, salendo in una giostra che ruota, salvo urlare a chi ha i controlli di rimettere tutto a posto. Questo avviene a maggior ragione se chi scompare è una figura che pare essere li da sempre, non solo perché troppo importante per essere ignorata – tanto da essere definita per anni come “il più importante jazzista vivente” – ma anche perché fino all’ultimo viva, pulsante, intelligente, esploratrice e ispiratrice.

Wayne Shorter ha fatto la storia della musica – del jazz di sicuro, ma io direi anche qualcosa di più – e ne ha attraversato la storia, dagli anni con Art Blakley a quelli con Miles Davis – Shorter è l’unico che può fregiarsi del titolo di compositore a cui Miles non cambiava una nota dello spartito che gli portava in camerino -, passando per i dischi solisti con la Blue Note; e poi ancora i Weather Report con Joe Zawinul, e infine con il suo ultimo quartetto. Questa top 7 non vuole essere un “il meglio di”, ma una galleria sonora della carriera del sassofonista di Newark; un tracciato personale su un percorso prodigioso e profondo di uno dei più grandi musicisti e compositori del jazz; una figura fondamentale che ha profondamente influenzato lo sviluppo musicale afroamericano e non solo.

  • Oriental Folk Song” (da “Night Dreamer”, Blue Note, 1964)

L’esordio per la Blue Note di Shorter è anche l’inizio di una intensissima attività discografica che lo porterà a registrare sei dischi nel giro di un anno e mezzo, in una girandola di sessions una più bella dell’altra. “Oriental Folk Song” è una lezione compositiva su come utilizzare melodie pentatoniche semplicissime (il tema) immergendole in un’armonia modale sempre in movimento, cosi da far riflettere quella melodia ogni volta sotto una luce diversa.

  • Infant Eyes” (da “Speak No Evil”, Blue Note, 1965)

Registrato alla Viglia di Natale del 1964, “Speak No Evil” è probabilmente il disco più famoso del sassofonista; “Infant Eyes”, scritta per la figlia Myako, è uno dei suoi pezzi più celebri, una ballad dai toni impressionistici e dall’armonia inusuale, con una melodia delicatissima in dolce sospensione. Da custodire con un pizzico di gelosia.

  • Genesis” (da “The All Seeing Eye”, Blue Note, 1965)

“Genesis” è il secondo movimento di una suite programmatica composta dal sassofonista di Newark e ispirata a Dio, all’Uomo e alla Creazione. Il lavoro vede Shorter – qui alla testa di una formazione allargata – lambire non solo i confini della musica modale, ma anche, seppur a modo suo, umori free. Questo brano ne è un perfetto esempio, con le sue differenti atmosfere, tensioni e ritmi sospesi che ben simboleggiando qualcosa che si sta schiudendo e che si rinnoverà di continuo, come la vita.

  • Masquelero” (da “Sorcerer”, Miles Davis Quintet, Columbia Records, 1967)

Il “secondo grande quintetto” di Miles Davis ridefinì profondamente le concezioni armoniche, melodiche, ritmiche e improvvisative della musica afromaericana; di questa formazione, con i giovanissimi Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al contrabbasso, Tony Williams alla batteria e il “vecchio” Miles alla tromba, Shorter era il principale compositore. Ispirato alle danze da guerra degli Indiani d’America, “Masquelero” è un vasto paesaggio dai colori notturni, con il quintetto che si rincorre e si ritrova come in un sentiero, e con l’armonia che si espande a perdita d’occhio man mano che il brano prosegue…

  • “Elegant People” (da “Black Market”, Columbia Records, 1976)

Il sodalizio di Shorter con il pianista e tastierista austriaco Joe Zawinul portò alla nascita di quella che è considerata da molti la band fusion  – ovvero quel genere che mischiava il jazz elettrico con il linguaggio del rock e del funk – per antonomasia, i Weather Report. Dei tanti episodi citabili, “Elegant People” spicca per la sua eleganza sopraffina e il groove ineguagliabile. Pensata da Shorter come tributo alla musica latina, “Elegant People” è una passeggiata tra vicoli speziati e porte misteriose, dove ad ogni cambio ritmico si svela una smeraldina sorpresa.

  • “Endangered Species” (da “Atlantis”, Columbia Records, 1985)

Terminata l’esperienza con i Weather Report, Shorter continua a sperimentare con la strumentazione elettrica, stavolta virando decisamente verso territori più funk e sintetici. “Endangered Species” apre una trilogia di dischi a dire il vero non particolarmente amati dal pubblico e dalla critica, ma che mostrano come il sassofonista fosse un ineguagliabile compositore in ogni circostanza; in particolare, questo brano mischia funk, ritmica brasiliana e sensibilità pop in maniera cosi fine da fare quasi invidia.

  • “Orbits” (da “Without A Net”, Blue Note, 2013)

L’ultima parte della carriera di Shorter lo vede impegnato con il suo spettacolare quartetto acustico, una delle migliori formazioni del jazz contemporaneo; con questa, il sassofonista rimodella in concerto vecchi brani del suo repertorio in un unicuum magmatico in equilibrio tra libertà e scrittura. “Orbits” dimostra quanto l’improvvisazione sia paradossalmente fondamentale anche per la composizione jazz: solo nel jazz l’interprete è sempre autore e mai esecutore. Dircelo cosi lucidamente a 80 anni e realizzando la musica forse più bella della sua carriera è un dono raro che ci ricorda – e forse questa è la lezione più importante di questo straordinario artista – quanto la creatività e la curiosità non si debba affatto e necessariamente arrendere al tempo.

Infine, una piccola bonus track: il pianista nostrano Enrico Pieranunzi ha iniciso un notevole disco dedicato alla musica di Wayne Shorter: “Plays The Music Of Wayne Shorter“. Vale la pena dargli un ascolto, fidatevi.

(Edoardo Maggiolo)

Grazie a Matteo Scalchi e Andrea Ruocco per l’aiuto nella stesura di questo articolo