RÓISÍN MURPHY, “Róisín Machine” (Skint Records/BMG, 2020)

Pochi sono gli album che riescono ad accompagnare l’ascoltatore attraverso l’oscurità della notte preparandolo al contempo per ciò che lo attenderà il mattino seguente, ma tra le tante sfighe che flagellano il nostro pianeta in questo momento storico, possiamo ritenerci fortunati perché “Róisín Machine” è decisamente uno di questi. La gran sacerdotessa della dance retro-futurista Róisín Murphy è tornata con il quinto lavoro in studio, interpretando alla perfezione il ruolo dell’uccellino che inizia a cantare un’ora prima dell’alba, aprendo le porte di una casa colma di nostalgie house e fantasie elettroniche da cinema club.
La prima cosa che avverti nel quinto lavoro della cantante irlandese è un sospiro: “I feel my story is still untold, but I’ll make my own happy ending” una sorta di confessione in cui, come gran parte del lavoro dell’artista, c’è senso dell’umorismo, un pizzico di melodramma e parecchia autoironia. Ci troviamo nel futuro ma anche nel passato, o forse, in un attimo.

Apre le danze “Simulation”, un classico house che emerge da un’oscurità diffusa, il ritmo hi-hat sibila a lungo, quasi come se non si fidasse del tutto nel lasciare spazio al basso, la chitarra funky fa da cornice alla voce sommessa ma ricca di luccichii intricati di Róisín, dando vita ad una vera e propria pista pulsante. Murphy – esteta, divina maga da discoteca con le gambe di gomma blu – ha rievocato questo sound dirigendosi non troppo lontano dai suoi sogni più sfrenati. La sua voce, perfezionata nel corso degli anni, è uno strumento complesso; toccando ogni corda del suo registro vocale, a seconda del momento può trasudare ironia, come in “Shellfish Mademoiselle” o indifferenza, come in “Murphy’s Law”, in cui mescola al caleidoscopio emotivo il suo background musicale, lasciando liberi i suoi impulsi più bassi. Un’idea più cupa e più tesa della semplice dance quella che si fa strada in “Narcissus”, pezzo frizzante come un loop di paranoia e insicurezza, che trova un appiglio di ballabilità nonostante i suoi ritmi fiabeschi.
Il momento clou dell’album “Incapable” ha le carte giuste per essere un classico da discoteca. Sintetizzatori altissimi, linee di basso funky, percussioni nitide e ritmo ipnotico. È un tipo di melodia da farti perdere nella macchina del fumo. Ma se ascoltate più attentamente le liriche: “Never had a broken heart, Am I incapable of love? Never seen me fall apart, I must be incapable of love”, ha tutta l’aria di una canzone blues camuffata da dance hit.

E’ chiaro che le inclinazioni retrò dell’album abbiano spianato la strada ad un sound una volta più a portata di mano. In un’intervista a Pitchfork, la cantante irlandese, ha parlato del rinnovato amore per la dance anni ’70, al centro della sua “machine” soprattutto grazie alla collaborazione con Richard Barratt (aka DJ Parrot aka Crooked Man), la cui presenza conferisce all’album un mix sbalorditivo di ritmi così stimolanti, da non offuscare i testi che narrano di sentimenti profondi, come accade nella vorticosa “Something More”.

“This is a darker side of a beautiful feeling”, canta Murphy in “Jealousy” pezzo che a seconda di come lo ascolti può rappresentare la fine o l’inizio della festa. La cantante si è esibita tra colpi di scena per gran parte del suo passato e non c’è da stupirsi dunque, se dopo quasi un decennio, sia riuscita a creare qualcosa che si avvicini alla perfezione.
Speculare sul motivo per cui la disco stia vivendo questo lungo periodo di rinnovamento non ha senso, ma dev’essere più di una coincidenza se a tale rinascita corrisponde “Róisín Machine”. Se non è un “happy ending” questo.

78/100

(Simona D’Angelo)