AN EARLY BIRD, “Echoes of Unspoken Words” (Edition Mightytunes, 2020)

Quello che penso è che in questi mesi abbiamo dimenticato l’importanza delle piccole cose. Ci sono i grandi temi, che chiaramente non possono e non vanno assolutamente ridimensionati e che richiedono delle soluzioni, ma questo si può fare solo prestando attenzione al dettaglio, quelle piccole cose che poi non consistono in degli “orpelli”, ma nei legami che tengono assieme le persone.

Ho ascoltato più volte in questi giorni il nuovo disco di Stefano De Stefano aka An Early Bird. È chiaramente un disco di musica indie folk cantautoriale e in cui l’autore declina in undici canzoni quello che dichiara apertamente come bisogno di comunicare. Effettivamente “Echoes of Unspoken Words” (edito da Edition Mightytunes e distribuito da Artist First) è un disco personale, ma che non avrebbe alcun senso di esistere, giustamente, senza chi sta dall’altra parte, in questo caso gli ascoltatori e l’autore ce lo dice apertamente e senza paura (a partire da canzoni come “Talk To Strangers”, un pezzo molto bello tra l’altro, poi “Racing Hearts”, “From Afar”…) e questo è un grande merito.

È un disco abbastanza semplice, cioè non ricerca nessun artificio particolare, ma curato e con dei suoni che rompono con il disco precedente (“Of Ghost & Marvels”) e i trascorsi di Stefano De Stefano con i Pipers. In qualche modo è più pop e “moderno”, “One Kiss Broke The Promise” fa pensare a Adam Granduciel dei War On Drugs; “State Of Play” è un buon pezzo sotto questo aspetto; lo stesso vale per “The Magic Of Things”, una specie di “ninna nanna”, piace sicuramente al primo ascolto. “Stay” ha una eco “brit”. Ma la scelta è comunque quella di presentare le canzoni con una certa freschezza, in una dimensione dolce, sensibile e quasi rarefatta, persino onirica e questo è un carattere che segna comunque tutte le canzoni dell’album. Tra i momenti migliori menzionerei la conclusiva “Mermaid Song”.

La cosa che colpisce è che è un disco che suona sicuramente “attuale”, cioè i suoni non sono “vecchi”, non c’è nessuna paura di suonare in qualche maniera anche pop, ma si ricerca anche un ritorno a quella dimensione di “indie” che, più che estetica, è invece un vero e proprio spazio fisico. Meriterebbe Stefano De Stefano di essere ascoltato in quei piccoli locali dove una volta ci si poteva riunire ad ascoltare musica e senza nessuna paura di stare uno accanto all’altro. Le parole non dette di “Echoes of Unspoken Words” (ma che sono comunque rivelate) in questo senso non sono un segreto, ma sono un messaggio positivo nel presente e di speranza nel futuro.

66/100

(Emiliano D’Aniello)