[#tbt] Lauro, smetti di fare le bizze

Fermi tutti: l’autoproclamatasi “reginetta del punk; re del rock; stella del pop” si è svegliata stamattina andando a piangere da mammà. Il motivo? La ‘censura delle pubbliche affissioni’ ha negato il permesso che l* vedev* raffigurat* in versione pupazza old-school su un crocifisso di chewing gum. L’immagine qui non la mostriamo nemmeno, non perchè sia scabrosa, anzi, è una finta provocazione al nulla, come le tante alle quali l’ex ragazzo di borgata che di Renato Zero ha visto solo i costumi con le piume senza capirci niente ci ha abituato alla nausea negli ultimi anni.

“Ma come” potrà chiedersi qualcuno, “ora arriviamo pure a giustificare la censura di questo paese così bigotto?” Senza appellarsi minimamente al politicamente corretto, sarebbe forse ora che anche certi ambienti fuori dai circolini mainstream ma conniventi smettano di dare spazio a personaggi del genere, e ribellarsi al giochetto di una censura che non c’è se poi l’immagine viene comunque pubblicata e rilanciata dalle maggiori testate giornalistiche italiane.

D’altronde, se vogliamo parlare di censura e bigottismo, abbiamo una sacca piena di storie più o meno nascoste nella nostra tradizione musicale. Non volendo trattare per l’ennesima volta il complicato rapporto tra la canzonetta e la paranoia di regime nel ventennio fascista, basta superare la fine della guerra di dieci anni per trovare Ghigo, uno dei primissimi rocker in Italia, dedicare un brano al travestito Coccinelle e creare prima scandalo e poi una chiusura totale da parte del mondo della cultura istituzionalizzato. La storia però avrà un lieto fine, con la sua “Coccinella” che comunque venderà una smodata quantità di copie e che sarà re interpreta da Ivan Cattaneo decenni dopo la prima pubblicazione.

Umberto Bindi, per via della sua omosessualità dichiarata e cantata nei suoi brani, venne pian piano estromesso dai circoli che contano, mentre intorno a lui si creava sempre di più un chiacchiericcio extra musicale e venendo poi ‘bandito’ dal palco di Sanremo, figura troppo scomoda a suo modo.

E ancora, il bellissimo concept album di Battisti del 1971, “Amore non amore”, boicottato da Ricordi che fece uscire per la rabbia del musicista “Emozioni”, causando anche la fortunata nascita della Numero Uno che tante pietre miliari produsse nel corso dei 70s. Le canzoni di “Amore non amore” vennero anche rifiutate dalla Rai, con Lucio Battisti che accennò l’introduzione di “Dio mio no” in studio per il probabile gelo dei dirigenti RAI. Anche Lucio Dalla, grande sperimentatore, ebbe qualche noia con la cultura ufficiale, soprattutto per la famosissima “4/3/1943” in originale intitolata “Gesùbambino” e che nel testo aveva osato mettere vicino al nome del messia certe signore che lavorano sui marciapiedi e dei ladri, diventate poi la più generica ‘gente del porto’.

Insomma, storie di censure e boicottaggi ben più veri che quelli della signorina Lauro ne possiamo trovare a bizzeffe. Mi chiedo invece se da censurare ci sia questo atteggiamento fintamente non-binario, molto strano da parte di uno che uno fino a pochi anni fa gridava con fare parecchio machista a un ‘regazzino’ sotto al palco di un suo show “nun me rompe ‘r cazzo sennò t’ammazzo, scemo!”(sic), per poi scendere e tirargli una pizza mica tanto arcobaleno. Lauretto, smettila di ridicolizzare le questioni di genere a uso e costumo del tuo marketing e dei trend propri di questa italietta crocefissi e acqua di rose e torna a fare la tua vita da privilegiato, tra un aperitivo con la Venier e una riunione con gli altri vertici di Elektra. Insomma, come avresti detto tu fino a qualche anno fa, fà pippa mon chèrie.

Per sconfiggere gli elementi tossici del patriarcato, insultarsi in autotune!

PS: alla fine il billboard in Corso Como ce l’hanno messo. Non il crocifisso di bigbabol, ma un ‘Lauro-cavalca-minipony’ che, se possibile,  riesce a battere l’idea originale in cattivo gusto. Ah, le monde!