YVES TUMOR, “Safe In The Hands Of Love” (Warp, 2018)

Ascoltare per la prima volta “Noid” ha fatto lo stesso effetto di quando ascolti un artista su Spotify e alla fine dell’album parte un artista simile che in realtà poco o nulla ha a che fare con quello che stavi ascoltando. Con la differenza che in questo caso l’effetto sorpresa è tutt’altro che sgradevole. E invece di skippare te la godi fino alla fine anche se t’aspettavi tutto fuorché un brano che sembrerebbe ripescato da una traccia dei mitici The Avalanches.
“Noid”, primo singolo dell’esordio su Warp di Yves Tumor, ha lasciato tutti piacevolmente straniti mettendo ancora una volta in luce quella capacita di sintetizzare sonorità e vibrazioni distanti e contraddittorie del produttore e performer americano.
Chi ha avuto l’occasione di vederlo dal vivo dopo aver apprezzato il sinuoso lo-fi analogico tra dub e alterazioni psicotiche sintetiche di “Serpent Music” probabilmente non si aspettava un tripudio di droni, noise e urla gutturali da festival avant berlinese di inizio decennio. Così come sarà rimasto in parte stupito dai cervellotici incubi ambient di “Experiencing the Deposit of Faith” che ha fatto conoscere a un pubblico più ampio e meno legato alle avanguardie techno il misterioso e statuario produttore originario del Tennessee e adottato da Lipsia e poi artisticamente da Berlino.

Buona parte del merito va a Bill Kouligas, titolare della berlinese PAN, una delle etichette più influenti di questo decennio per chi conosce e segue con attenzione l’elettronica contemporanea, che ha fiutato il potenziale iconico del personaggio aiutandolo da vicino a limare e orientare la sua eterogenea proposta musicale. Poi è arrivata Warp ad accendere definitivamente i riflettori su Sean Bowie, vero nome di Yves Tumor.
C’è poco da stupirsi quindi se nell’ascolto di questi 40 minuti, intensi e spiazzanti, a volte sembra di avere a che fare con Dean Blunt rimasto sotto per i momenti più visionari del dark pop britannico e delle avanguardie britanniche degli anni Ottanta.
Alla voce e in produzione non c’è solo lui. Yves Tumor sa scegliere e chi scegliere. E in “Licking An Orchid” il suo strambo e alieno falsetto lascia spazio alla voce della stralunata James K, fondatrice della label She Rocks che si aggira quasi spaesata tra i raggelanti fragori noise che la trafiggono come dal cielo.
Dopo il suggestivo prologo jazzy, in “Economy Of Freedom” la voce di Sean si adagia su un algido tappeto sintetico curato da Loke Rahbek di Posh Isolation aka Croatian Amor. I desolanti anni Ottanta sospesi tra Throbbing Gristle e analogia sci-fi restano un punto di riferimento, come dimostra “Honesty” che vi si lega alla perfezione e poi ancora l’epica “Lifetime” dove oltre al costante senso di smarrimento ci si accorge del suo sorprendente talento di songwriter.
A “Hope in Suffering (Escaping Oblivion & Overcoming Powerlessness)”, uno dei brani più assimilabili ai suoi esordi tra James Ferraro e Vatican Shadow (con tutto il mondo di sonorità che ci sono nel mezzo), contribuiscono invece altri due personaggi poco inclini alla musica solare e sognante: Oxhy, producer londinese di stanza Berlino e un’altra danese del giro di Posh Isolation, la producer e artista “multidisciplinare” Frederikke Hoffmeier aka Puce Mary. Con successo.

Per il resto l’estetica e i testi, come si può intuire già dai titoli, restano saldamente ancorati all’immaginario morbosamente torbido, esplicito e decadente di Yves Tumor. I due brani di chiusura, radicali, estremi, figli del passato vedono invece Sean in preda a un’inquieta libertà espressiva che lo allontana dall’avanguardia techno, avvicinandolo a inediti mondi free jazz e a quelle digressioni senza uscita tipiche degli Swans. “Let The Lioness In Your Flow Freely” dura solo cinque minuti, ma potrebbero sembrare dieci, quindici o venti.

Se dovessimo usare la parola indie con lo stesso significato onnicomprensivo di qualche anno fa quando racchiudeva produzioni dream-pop, l’alt-rock dei 90, l’emo, il noise, l’elettronica meno ostica e i rigurgiti synth-pop degli 80 e chissà cos’altro, potremmo dire che il disco “indie” più interessante dell’anno è stato partorito da un artista e performer techno.

“Safe In The Hands Of Love” riesce ad annichilire come pochi album di questo ambito, in tempi recenti.

84/100