THE BLACK DELTA MOVEMENT, “Preservation” (Clubbed Thumb Records, 2018)

Ok, è vero! Questa recensione arriva con un ritardo esagerato (e vi chiediamo scusa), perché questo che è uno dei migliori album di esordio del 2018 (a giudizio di chi scrive) è uscito a marzo e ha già fatto parlare tanto di sé. Ma l’essere arrivati così tardi a recensire questo disco ci ha dato la possibilità di farlo con cognizione di causa, in modo da soffermarci in maniera approfondita sul lavoro di questa band e smentire allo stesso tempo quelle critiche frettolose (tante, troppe) che l’hanno bollata senza troppi patemi come la versione europea dei Black Angels.

Ebbene ragazzi: andiamoci piano! Il paragone con i texani, vero e proprio monumento vivente, rischia di essere deleterio per tanti motivi. Innanzitutto per una questione di rispetto per il lavoro svolto dalle due band. Il quintetto di Austin si è costruito la sua reputazione nel corso di una carriera decennale, sfornando album sempre di grandissimo livello e diventando uno dei principali punti di riferimento mondiali per la rinascita del psych-rock in questi anni ’10. Il quartetto di Kingston Upon Hull, invece, ha pubblicato questa sua prima fatica dopo ben otto anni di gestazione e di sperimentazione. Il gruppo è infatti stato fondato nel 2010 e prima di questo full lenght ha dato alle stampe una serie di EP in cui la propria anima e il proprio sound è andato via via costruendosi e arricchendosi di influssi e suggestioni. L’accostamento con i texani rischia perciò di sminuire e svalutare, in maniera troppo superficiale, quello che è invece un lavoro attento e meticoloso soprattutto sul piano della ricerca stilistica e sonora.

Certo, è innegabile la presenza di una forte componente psych all’interno della musica dei The Black Delta Movement: lo si nota già dal brano d’apertura, “Rome”, con quei riff di chitarra magnetici e ipnotici, e ancora nella centrale “Let The Rain Come”, che sembra uscita direttamente dalla brocca elettrica di Tommy Hall. E tuttavia la scelta di posizionare la voce in primo piano, a bucare il mixer, mostra quanto siano ampi gli orizzonti musicali di questi ragazzi, quanto siano molteplici e sfaccettate le loro anime musicali. Brani come “Hot Coals” e “Ivory Shakes” potrebbero benissimo essere cantate da Liam Gallagher; e ancora, pezzi come “King Mosquito” e “Deceit” trasmettono un calore e un’immediatezza tipicamente garage e rock and roll, che sembrano placarsi per un momento nel blues allucinato di “For You”.

Non mancano momenti in cui si erigono muri di melodie noise in pieno stile Jesus and Mary Chain, come accade in “Hunting Ground”, o elementi di sperimentalismo schizofrenico à la Newcombe soprattutto in brani come “No End” (e non è un caso che entrambe le band abbiano pensato bene di portarsi appresso questi quattro ragazzi per le date dei loro rispettivi tour). Ma in generale tutto il disco è attraversato da richiami prepotenti alla scena madchester, e la conclusiva “Butterfly” è un omaggio dichiarato ed esplicito a padri putativi come Stone Roses e Charlatans.

Quello dei Black Delta Movement è un esordio sulla lunga distanza assai promettente, che va ad aggiungersi a quello di altre band britanniche come Shame ed Heavy Lungs, o ancora a quello al fulmicotone degli Idles dello scorso anno. Segnali incoraggianti per chi da tempo attendeva un ritorno prepotente dei chitarroni e delle sonorità più ruvide nella scena musicale.

77/100

(Gianpaolo Cherchi)