SUPERCHUNK, “What A Time To Be Alive” (Merge Records, 2018)

“It would be strange to be in a band, at least our band, and make a record that completely ignored the surrounding circumstances that we live in and that our kids are going to grow up in”. Mac McCaughan introduce con queste parole l’undicesimo lavoro in studio dei suoi Superchunk, “What A Time To Be Alive”. Lavoro supervisionato come il precedente “I Hate Music” da Beau Sorenson, questi trenta minuti di furibondo indie punk-rock mostrano una carica esplosiva del tutto identica ai loro inizi di fine anni ottanta, in testi pieni di disprezzo e rabbia verso la politica americana odierna: d’altronde nulla è cambiato (“Reagan Youth”).

Che la grandezza della band di Chapel Hill, North Carolina sia riconosciuta da più generazioni di ascoltatori è testimoniato dall’esibizione al Fallon dopo quasi un decennio di inattività. Capaci ancora di scrivere veri e propri inni – con la title track e il grezzo primo singolo “I Got Cut” che si aggiungono al club che comprende “What Do I” e “Hyper Enough”. Veloci come Germs e Bad Religion (“Cloude of Hate”) o melodici à la Foo Fighters che furono (“Black Thread”) a voi la scelta, parliamo sempre di brani di qualità medio-alta dove il leader e Jim Wilbur si scambiano le parti di chitarra solista e il drumming di Jon Wurster e le linee di basso di Laura Ballance – responsabile anche dell’artwork di copertina – garantiscono ritmo e potenza costanti.

La genesi di “What A Time To Be Alive” ci rimanda alla seconda parte del 2016 con la capitolazione dei democratici alle elezioni presidenziali, che sprigiona l’urgenza di produrre nuova musica in “A Record about a pretty dire and depressing situation but hopefully not a record that is dire and depressing to listen to.” I temi rimangono ancorati a un senso di perdita che non deve diventare senso di vuoto, idea ottimamente sviluppata in “Dead Photographers”, power-pop contagioso in realtà molto vicino a “30 Xtra”, da “No Pocky For Kitty” del 1991. Il secondo estratto “Leisure”, una chiamata alle armi contro i soprusi del potere verso gli emarginati, ospita nel chorus le voci di Waxahatchee e Stephin Merritt, mentre in “Break The Glass” è di Sabrina Ellis (dei texani A Giant Dog) il contributo a uno degli episodi più immediati e facili della raccolta.

Generosi nell’arte e nella vita. Hanno raccolto all’asta 70,000$ grazie alla vendita di due sette pollici, cifra prontamente devoluta ad enti quali il Southern Poverty Law Center. Un ritorno che non ha deluso le attese: la musica dei Superchunk nel 2018 è la perfezione delle cose semplici.

77/100

(Matteo Maioli)