ARCADE FIRE, “Everything Now” (Columbia Records, 2017)

“Everything Now”, il quinto album degli Arcade Fire, è stato co-prodotto da Thomas Bangalter dei Daft Punk, dal bassista dei Pulp, Steve Mackey, Geoff Barrow dei Portishead e Markus Dravs. Come è possibile intuire da queste collaborazioni in produzione è da una parte un lavoro molto “inglese”, forti i richiami alla Madchester dei New Order in “Creature Comfort”, e dall’altra c’è molto degli anni ’80, come in canzoni-inno dalla leggera freschezza come la title track “Everything now”.

La voce di Win Butler insieme alle ritmiche consegnano fedeltà ed appartenenza alla storia della band canadese, che sembra allontanarsi dalle sue radici esplorando vari settori. “Peter Pan” ne è un esempio, come il reggae di “Chemistry” o il punk distonico della prima parte di “Infinite Content” che nella sua seconda parte lascia spazio ad una distante ballata.

Un prodotto artistico che è una ricerca ed una sperimentazione diretta, sembra dire a chi lo acquista “stiamo cercando nuove strade, ci piacerebbe andare in questa direzione o in quell’altra, voi cosa ne dite?”. Una domanda che fatta dagli Arcade Fire lascia un pò perplessi e spiazzati, avendo abituato il pubblico alla sorprendente vena compositiva e, soprattutto, alle doti di arrangiamento della band di Montrèal.

Dimenticatevi “No Cars Go” insomma.

In queste incertezze gli “eighties” sembrano essere l’unico punto fermo, suoni elettronici non elaborati affiorano in “Put your money on me”, brano piacevole con un testo adatto all’atmosfera ovattata che riesce a creare. In “We don’t deserve love”, il brano che di fatto chiude la tracklist, capita di immaginarsi Annie Lennox in preda a sinuose danze nell’esecuzione, tra campane e cori avvolgenti.

“Everything Now” è sicuramente un lavoro curato, suonato egregiamente, ricco di strumenti che s’intrecciano in melodie differenti per genere, composizione e struttura. Tuttavia non riesce a lasciare alcun segno dopo il suo primo, secondo, terzo e quarto ascolto. Si fa una difficoltà enorme a ricordare il motivo dei brani fatta eccezione per il primo singolo, quello che da nome all’intero album.

Magari alla prochain, ragazzi.

60/100

(Francesco Fauci)