THE ACID, “Liminal” (Infectious, 2014)

liminal_The AcidNon è sempre vero che chi fa da sé fa per tre. Facciamo un esempio: sapete chi sono Ry X, Steve Nalepa e Adam Freeland? Presumbilmente no. Sapete chi sono i The Acid? Forse no, ma presumbilmente ne sentirete parlare presto.

Eppure sono la stessa cosa: i tre nominati prima sono i creatori del progetto visualmusicale The Acid, in cui Ry X ci mette voce e chitarre, Adam Freeland l’elettronica, Steve Nalepa lavora alla produzione e alle robine visual. Dopo un primo Ep uscito in sordina l’anno scorso, ritornano ora con il loro primo disco, “Liminal”, che si tuffa a bombazza nel mare magnum del soul pop elettronico degli anni Dieci, quello iniziato da James Blake un po’ di anni fa e poi riproposto da un sacco di altra gente alla moda.

Quello che si ascolta è esattamente quello che ci si immagina da una collaborazione tra un cantante, un dj e un produttore: una roba perfetta per il tempo presente, da ascoltare oggi e chissà se anche domani, una roba che interpreta perfettamente quel pop mescolato di elettronica e r’n’b che si ascolta praticamente ovunque: remixato nei club, agli aperitivi giusti, ma che ne so anche da Zara.
Cose di questo tipo ce ne sono di innumerevoli, e continuano a spuntarne: gli esempi più chiacchierati in ordine cronologico, bene o male che siano, sono Chet Faker e Sohn. Ma per i The Acid, come per Chet Faker, per Sohn o per chiunque voglia provare a fare questo tipo di musica, vale sempre una regola tra le altre: le canzoni, che devono essere belle. Si può benissimo registrare il disco giusto, avere due o tre buone idee, ma per fare un disco buono oltre che giusto bisogna saperci fare con i pezzi.

E se proprio la dimestichezza compositiva è il discrimine per cui possiamo senza dubbio dire che Chet Faker è bravo e Sohn molto meno, anche ai The Acid va fatta la prova di verifica.
Tra le cose che i The Acid dimostrano dentro “Liminal” c’è sicuramente la grande agilità nel muoversi tra gli insiemi aperti dell’elettronica e del pop. Nel disco infatti i due generi vengono declinati in più forme e strutture: l’iniziale “Animal” sembra rieccheggiare nello spazio nero interplanetare vastissimo, “Ghost” e soprattutto “Flame” provano ad essere i pezzi più caldi e ballabili, le chitarre in “Ra” e “Basic Instinct” allargano il cerchio fino al pop tradizionale (o quasi). Ma è “Creeper” forse quello che riassume meglio il prodotto “Liminal”: la voce mezza sussurrata mezza spezzata di Ry X lega insieme l’elettronica dura, massiccia e spigolosa orchestata da Adam Freeland, in un crescendo quasi ansiogeno, claustrofobico.

“Liminal” insomma è un’opera molto più ragionata di quanto le etichette di “pop” e “elettronica” possano suggerire: è un esperimento approfondito e completo, progettato quasi scientificamente e messo in atto con competenza e dedizione da tre tizi che separatamente avrebbero fatto molta fatica a farsi notare. Considerati gli intenti, è un disco che può dirsi riuscito. Certo, da qui a diventare una roba grossa ce ne passa, ma nel frattempo la qualità, la sostanza e il mestiere ci sono, senza dubbio.


71/100

Enrico Stradi