FUCKED UP, “Glass Boys” (2014, Matador)

Fucked-Up-Glass-Boys-Cover-ArtEffed Up! Così venivano presentati alle loro esibizioni dai ragazzacci di MTV Live Canada, prima di vandalizzare sistematicamente palco, attrezzature e bagni degli studi televisivi insieme ai loro fan, una volta nel 2007 e di nuovo nel 2008.

A quei tempi sembrava che la band canadese guidata dallo shouter Damian Abraham, aka Pink Eyes, avesse già un’identità piuttosto definita: dopo una miriade di singoli, EP e demo (in particolare “Police”) sfornati dal 2001 al 2006, che testimoniavano lo strettissimo legame con la scena punk-hardcore locale, con l’utilizzo del formato album Pink Eyes e compagnia iniziavano a infondere un vero e proprio senso epico a testi e melodie, e utilizzavano una strumentazione molto più ampia rispetto agli standard hardcore (flauti, tastiere).

Si è presto capito che la personalità e le ambizioni andavano ben oltre la nuda e cruda attitudine punk; i sei canadesi sentivano il bisogno di trascendere i limiti imposti dal genere.
In questa direzione si muovevano i primi due album (“Hidden World”, Jade Tree, 2006; e “The Chemistry Of Common Life”, Matador, 2008) e ancora di più la molto sobria “Zodiac Series”, una saga di mini-EP ispirati all’oroscopo cinese, tutti molto sobri, le cui rispettive title tracks (molto sobrie anche loro) superavano tutte i 10 minuti (“Year Of The Dragon”, uscita nel mini-album eponimo questo aprile, ne dura 18). Nella ricerca di un equilibrio tra l’immediatezza hardcore e il gusto barocco per l’artificio i Fucked Up hanno fatto un bel po’ di passi falsi, con tentativi che qualche volta si fatica a prendere sul serio. “David Comes To Life” (Matador, 2011) segna la svolta definitiva: viene aggiunto un terzo elemento per stabilizzare l’equilibrio precario, ed è la pura melodia, che diviene nucleo centrale delle nuove composizioni. L’album è una monumentale rock opera in quattro atti su una tragica (e verbosa) storia d’amore e alienazione tra adolescenti. La componente epica è fortissima ma comunque smussata da una certa leggerezza melodica pop, e il risultato finale è buono, per quanto vicinissimo a scadere nel manierismo. I Fucked Up vengono di forza trascinati fuori dagli ambienti underground e portati definitivamente alla luce del successo internazionale.

“Glass Boys” è un progetto più modesto e meno velleitario. Si torna con i piedi per terra, il suono è più autentico, i brani meno ambiziosi. Semplicemente un album discreto, quasi essenziale, comunque lontano dagli sfarzi forzati. Un passo deciso verso il pop e lontano dal lezioso e dal solenne, mantenendo la vena hardcore; e questa nuova combinazione, più terra terra, pare funzionare meglio della precedente.
Il potente riff di “Echo Bommer”, à la Guns N’ Roses, unito alle urla di Pink Eyes, introduce bene alle nuove atmosfere del disco. Tutto procede in velocità e senza intoppi lungo la prima metà dell’album, muovendosi come per inerzia dopo la opening track: brani veloci e rumorosi, che scorrono, senza infamia e senza lode, fino al singolo “Paper The House” – unica nota, il solo del chitarrista Mike Haliechuk (aka 10000 Marbles) sul finale di “Warm Change”, di sapore psichedelico che spezza rispetto alla frenesia che segue. Nella seconda metà si usa l’artiglieria pesante: “DET”, scalmanata, urlata, chitarre impazzite, è il brano più feroce, uno squarcio nella tela pop che ricopre il resto dell’album. Segue “Led By Hand”, il gioiellino dell’album: è un richiamo a Descendents, Rancid, NoFx, e soprattutto Dinosaur Jr (di fatti le controvoci nel ritornello sono proprio di J Mascis!). “The Great Divide”, tutta controtempi, costruita (come il resto dell’album, dopotutto) sulle magistrali batterie di Jonah Falco, che governa e brilla su tutti. E alla fine la title track “Glass Boys”, l’inno glorioso e sofferto dei Fucked Up, che testimonia come dietro questo lavoro ci sia la coscienza di sé stessi e del proprio ruolo nel panorama musicale. Lo dice 10000 Marbles in un’intervista a Pitchfork. Tutte le incertezze dei membri della band sono spiattellate in questo album senza metafore narrative di mezzo: i Glass Boys sono proprio loro.
Where did I use to go before I went nowhere/What did I use to do before I did nothing/What did I use to have before I had nothing/ Who did I use to be before I was no one.

65/100

Pietro Di Maggio