CONNAN MOCKASIN, “Caramel” (Mexican Summer, 2013)

caramel“Caramel”, l’ultimo disco di quell’eccentrico individuo che si fa chiamare Connan Mockasin, è un ascolto a dir poco disorientante. Come descrivere altrimenti quasi quaranta minuti di dilatate jam di qualcosa tra blues, soul e R’n’B, con tanto di vocine incorporee che sussurrano sexy borbottii indecifrabili.

Qualcuno accusa questo artista di incoerenza, altri di autoindulgenza, molti preferiscono ignorarlo. Incurante delle critiche il nostro va avanti per la propria strada, mentre la lista dei suoi estimatori, nonostante tutto, si allunga di giorno in giorno, tanto che band del calibro dei Radiohead lo chiamano ad aprire i propri live, mentre altri ancora (Charlotte Gainsbourg) gli commissionano musica da comporre.

A detta di molti il precedente “Forever Dolphin Love” era un piccolo capolavoro incompreso, a metà strada tra il puro dadaismo e la raccolta enciclopedica di diversi stili musicali. Questo “Caramel” non rinuncia alla voglia di stupire tramite il colpo ad effetto, ma sceglie vie più tortuose, preferendo rinunciare quasi in toto alla forma canzone tradizionale. A farla da padrona, in un disco che necessita di molti, moltissimi ascolti per essere assimilato, sono morbide ritmiche jazz che si dipanano eteree ora sul sensuale pulsare del basso, ora sulle fluide linee di chitarra. A questa formula a tratti quasi narcotica ma maledettamente affascinante va aggiunta qualche spruzzatina di funky qua e là, elemento graditissimo dato che serve a movimentare un incedere altrimenti forse eccessivamente riflessivo.

Fatte queste considerazioni, fa specie accorgersi che i brani che colpiscono di più sono anche quelli che si lasciano estrapolare più facilmente dal contesto generale. La sopraffina title track, la souleggiante “Do I Make You Feel Shy” (che sembra quasi un estratto di “Before Today” di Ariel Pink, eterno metro di paragone per il musicista neozelandese) e il funky-blues di “I Wanna Roll With You” sono degli splendidi esempi di moderna musica d’autore.
Le cose si complicano un pochettino quando del viaggio di Connan Mockasin si fatica a riconoscere punto di partenza e punto di arrivo, come nella suite in cinque parti di “It’s Your Body”. Anche dopo ripetuti ascolti permane infatti la sensazione che, più che una serie di brani collegati, il tutto sia solo una lunga jam improvvisata, divisa in modo abbastanza approssimativo. Tutto tecnicamente inappuntabile certo, ma resta un insieme un po’ incoerente che rischia di annoiare.

Insomma, i difetti di Conna Mockasin sono in fin dei conti i suoi pregi: imprevedibile, originale, autoindulgente, logorroico. A voi la scelta se amarlo o odiarlo.
Per chi scrive il neozelandese resta, malgrado gli eccessi, un fine manipolatore del linguaggio del pop contemporaneo, uno sperimentatore tout court.
Proprio per questo il voto va all’artista, prima ancora che al disco. Ce ne fossero come lui.

70/100

(Stefano Solaro)

12 dicembre 2013