MGMT, “MGMT” (Columbia Records, 2013)

mgmtLo stavamo aspettando tutti, appena ne abbiamo sentito l’odore ci stavamo già leccando i baffi dato che il nome scelto per il quarto album suonava impetuoso, “MGMT”, come se si volesse dire: “Siamo tornati signori!”.
Partenza fulminea: appena lanciato il video-promo dell’album sul web impazzava la convinzione che gli MGMT fossero pronti a farci sognare nelle nostre camere durante i grigi pomeriggi. Il teaser sembrava presagire qualcosa di veramente interessante dal punto di vista musicale-stilistico, io per primo dopo aver visto questo “trailer” in cui sono spiati dai servizi segreti NSA e nel mentre vengono a contatto con la natura nella maniera più singolare e improbabile, ho esclamato: “Mò fanno er botto!”. Sì perché al di là dello scenario intrigante, come colonna sonora i furbacchioni hanno estratto dall’album i cinque brani di punta creando una traccia unica. Quindi ero già pronto a contattare William Hill per fare la scommessa più vincente dell’anno. Ma, c’è sempre un ma!

Infatti al primo ascolto rimango perplesso, il sound è altissimo, quasi un frastuono, e sembra formare veramente una traccia unica, la voce sembra fare quasi da contorno alla melodia, come un’insalata intorno a questa bistecca difficile da digerire al primo play. Perché non siamo ipocriti, per tutti noi le parole nella musica sono come i visi nei dipinti, ci danno sicurezza e ci danno il modo di riconoscere “chi fa chi”. Sfido chiunque a comprendere un Pollock se in vita sua ha sfogliato solo i classici libri di storia dell’arte. Quindi subito mi è sembrata una scelta un po’ troppo azzardata e pretenziosa, anche perché la melodia ha subito un brusco cambio di direzione, forse un po’ troppo brusco. Questo magma di psichedelia che tocca artisti come Pink Floyd unito all’eleganza retrò degli Air crea un’atmosfera inquietante e tetra: sembrano ormai lontani i tempi gioiosi in cui il palco di Glastonbury si trasformava in una festa e le note di “Kids” ricreavano una scena spensierata e armoniosa stile Woodstock.

“MGMT” pare quasi fotografare il loro stato emotivo: i due registrano quest’album da soli, senza la loro band storica, dichiarano di sfiorare l’esaurimento nervoso e lo stesso Goldwasser a Rolling Stone, forse mettendo l’elmetto pronto ad una possibile bombardata di critiche, dice: “Non so se sia musica che ascolteremmo, è venuta così, senza fare nessun compromesso”, come se si volesse dire “take it as it comes”, giusto per ricordare il caro amico Jim. Quindi tutto sommato, a malincuore, devo dire che hanno tradito le pur molto alte aspettative. Come detto in precedenza se uno pronunciava il nome Mgmt a tutti veniva in mente il loro capolavoro “Oracular Spetacular” dove “Electric Feel” risuonava come un Inno alla gioia (Beethoven permettendo). Forse la voglia di cambiare e stupire ha fatto un brutto scherzo a quei due lì. Tuttavia (termine che anticipava un sei politico al compito scritto di aritmetica) “MGMT” è un disco strano quanto enigmatico e l’enigma lo si risolve solo con il tempo e dedizione, quindi chissà se tra un po’ “MGMT” verrà considerato come un nuovo foglio ben scritto da aggiungere al loro quaderno musicale, posto che “Cool Song no 2” o “Your life is a lie” sono pezzi in cui si intravede ancora l’ombra dei fasti migliori. Perciò in conclusione non ci resta che lasciarci con l’usuale, ma sempre vero, detto: “ai posteri l’ardua sentenza”.

(Mario Coppola)

60/100

4 novembre 2013