SCOTT MATTHEW, “Unlearned” (Glitterhouse, 2013)

Scott-Matthew-UnlearnedDialogo tra me e me stesso su “Unlearned” di Scott Matthew.

(Personaggi. Me recensisce dischi e continua, malgrado tutto a occuparsi e parlare di musica. Prova giudicare e, certe rare volte, a gradire l’evoluzione della produzione pop internazionale. Me stesso non compra un disco dal 2001 e neanche scarica più illegalmente, si tiene alla larga da concerti, concertini e soprattutto da discussioni musicali, che ritiene sommamente pericolose. Se tutto va bene si risolvono in un’assurda estrinsecazione di argomenti e valori identici, se qualcosa va storto generano disprezzo e astio reciproco.)

Me: Ti piace Scott Matthew?

Me stesso: E chi è?

Me: Un cantautore australiano. Roba pop raffinato e alternatvo, un po’ folk, un po’ Antony, cose così… Fino a qualche anno fa aveva un gruppo, gli Elva Snow. Facevano indie-pop… C’erano lui, sto Matthew, e l’ex batterista di Morrisey, Specer Corbin…

Me stesso: Mai avuto il piacere.

Me: Insomma, devo recensire l’ultimo disco di Matthew, un disco di cover, non è male, molto pianoforte, chiaroscuri, voce profonda…

Me stesso: uhm…

Me: Fa una bellissima cover di “Love Will Tear Us Apart”, molto personale… Una rilettura decente, degna. Ha un’aria notturna, minimale ed elegante… Davvero riuscita. Poi rivitalizza un pezzo di Whitney Houston, “I Wanna Dance With Somebody”… lo stravolge, certo, ma ne coglie la malinconia, la disperazione…

Me stesso: Perché tu conosci l’originale di Whitney Houston?

 Me: No. L’ho sentita dopo qualche secondo su You Tube. Ma non è questo il punto. È interessante il discorso delle reinterpretazioni, della scelta di canzoni che svelano gusti privati, affinità, rimembranze… Canzoni altrui ma comunque, come dire… intrinseche.

Me stesso: Ma non hai detto che erano cover?

Me: Ho sbagliato. Non sono cover, per nulla. Non c’è nulla di filologico o di ossequioso. Matthew prende i Radiohead, i Jesus and Mary Chain, Neil Young, i Bee Gees!… Li prende e li inghiotte, li digerisce, li trasforma. Li personalizza emotivamente, e sembra sincero. Butta fuori qualcosa di viscerale.

Me stesso: La metafora fa pensare a una deiezione…

Me: No. Vabbè. Cerca di superare queste resistenze assurde. Lo so che quando si toccano certi generi, certi autori sei contrario per partito preso… Critichi a priori.

Me stesso: Ua, tu hai nominato Neil Young. Mai criticherei Neil Young!

Me: Appunto. Volevo dire proprio questo. Sei settario, anzi indolente. Bisogna vincere la pigrizia, i pregiudizi e la passività quando si parla di musica. Non si può condannare un’intera generazione, ogni nuovo fenomeno estetico senza neppure rischiare un ascolto. Prendi Matthew, non è l’ultimo stronzo, mi ha fatto scoprire questo brano di Chaplin, “Smile”, che qui canta con Neil Hannon dei Divine Comedy. Ha qualcosa da dire, è giovane e ha un approccio nuovo…

Me stesso: In pratica il nuovo sarebbe un cantautore folk australiano che fa le cover di Neil Young, Joy Division e Jesus and Mary Chain?

Me: No! Cioè, sì… vabbè. Lasciamo perdere. E tu che stai sentendo ultimamente?

Me stesso: Ultimamente? Come roba nuova? “Fun House” degli Stooges.

Me: Ah. “Fun House”, eh?…

Me stesso: Eh, gli Stooges, “Fun House”…

Me: In effetti… Che grande disco “Fun House”!

Me stesso: Ma serio.

63/100

(Giuseppe Franza)

15 luglio 2013