THE SPINTO BAND, “Cool Cocoon” (Spintonic, 2013)

De band che fanno uscire un disco all’anno disputandum est. I The Spinto Band ce li ricordiamo per “Shy Pursuit”, un disco fresco, vivace e leggerino che per qualche tempo aveva allietato l’anno appena trascorso. Pretese non troppo alte, ma le canzoni erano piacevoli ed eravamo più o meno tutti soddisfatti.

Il nuovo album si chiama “Cool Cocoon” e si porta sulle spalle tutte le attese del caso, che non sono eccessive ma ci sono. E devono averle sentite anche i non-più-ragazzi del Delaware, perché quello che ci fanno ascoltare ora purtroppo ci delude un po’.
E’ come se Cool Cocoon fosse il secondo disco di una band che col primo ha fatto il botto, e che non sapendo che cosa fare di preciso, ricopia – e piuttosto male – quello fatto in precedenza. Un atteggiamento che si può comprendere se chi suona è acerbo, un po’ meno invece se chi suona lo fa da quindici anni. Ma chiariamoci: l’album non toppa, solo che ci si aspettava di più.
Il disco conta dieci canzoni, a volte bene a volte così così, tutte riconducibili a quella definizione vaghissima di “indie-pop”. Meglio fare ordine.

“Shake It Off” è il singolo di lancio, e una volta finito ci si immagina già che non si andrà troppo in alto: niente di nuovo, e in più quello che c’è non diverte nemmeno. Le melodie a presa rapida che ricordiamo dell’anno scorso ora suonano facilone, se non addirittura prevedibili. I suoni ammettono come sempre una certa devozione per gli anni ’90, ma non c’è contorno: alle canzoni sembra sempre mancare un po’ di corposità, e non bastano le chitarre vintage o un atteggiamento à la Beach Boys a rimediare.
Al centro del disco invece ci sono le cose migliori: “Memo” gioca con i synth e la loop station, che pur non essendo soluzioni originali, contribuiscono a dare più gusto; “Look Away” e il suo folk classicone; “She don’t want me”, un mischione di pop, dreamy, psichedelica, handclapping e ironia schizofrenica. Avete presente quando da piccoli ci inventavamo canzoni a caso? Ecco. E’ il momento più riuscito dell’album, con la voce di Nick Krill che saltella e, per la prima volta, sembra divertirsi.

Prima della fine, “Static” e “Na Na Na” dimostrano di essere canzoni che altri avrebbero suonato meglio.
Il pezzo che chiude il disco è “Breath Goes In”, un valzer educato e sapiente che non ci aspettavamo, e forse inserito furbamente per ultimo per portare a casa il risultato. O che sia anche anticipatore di cose future? E’ quello che si augura.

Col senno di poi, e a dischi invertiti, Cool Cocoon se lo sarebbero filati in pochi. Fortunelli.

60/100

(Enrico Stradi)

11 marzo 2013

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