HOLY GHOST!, “Holy Ghost!” (DFA, 2011)

Basta un accenno di tiepido bel tempo e subito inesorabile affiora in noi un irrefrenabile desiderio di vacanze di spiagge assolate a due passi dal mare com’è bello sognare abbracciato con te (A-A-Abbronzatissima).
Un illusorio acceleratore emotivo capace di proiettarci dritti-dritti verso le benedette, agognate, sacrosante due settimane di ferie estive con discreto anticipo rispetto agli insopportabili tempi dettati dal calendario.
E’ vero, per carità, quella della recensione “metereopatica” è faccenda fin troppo abusata, ma il fatto è che in certi casi proprio non se ne può fare a meno; e il debutto di Holy Ghost! su DFA è giusto uno di quei dischi “di stagione”, un po’ come le fette d’anguria o le fragole con panna. Uno di quei dischi da suonare a palla mentre vai al mare, salvo poi dimenticarlo in un angolo al rientro quando anche l’ombrellone prende ormai la via della soffitta e i bei ricordi di frivola spensieratezza vanno via via a sbiadire insieme alla nostra abbronzatura. Sì, perché non c’è niente da fare: qui siamo già belli che intrappolati nell’immaginario balneare, impegnati a schivare gli italo-frisbie di “Wait and See” (le cui tastiere richiamano curiosamente la melodia di “Don’t Stop ‘til You Get Enough”) e a saltellare tronfi da trampolini New Order ( le wave emozionali di “Hold My Breath” e “It’s Not Over”) per fare infine splash nella piscina dei Phoenix – quelli super catchy di “Everything is Everything”- come nel caso del synth-pop “Jam for Jerry” (dedicata all’amico Jerry Fuchs, batterista di !!!/The Juan McLean/Maserati tragicamente scomparso nel 2009).

C’è quella calviniana leggerezza pop che possiamo rinvenire anche dalle nostre parti in certe argute produzioni di casa Riotmaker – vedi Fare Soldi e Scuola Furano, ad esempio – che in fondo poco hanno da invidiare in termini di stiloso postmodernariato-electro-da-cazzeggio-intelligente. Squisitezze dance che a tratti avvicinano il tocco più sofisticato di Benjamin Diamond (“Say My Name” e “Hold On”) o elettro-funk alla Tiga dove i due di Brooklyn ribadiscono la fissa per ogni synth di derivazione ’80 ( “Do It Again”, il primo pezzo e l’ultimo dei 4 singoli già usciti negli anni prima di questa pseudo-raccolta).
Alex Frenkel e Nick Millhiser potranno non avere l’originalità e l’appeal di un Hot Chip ma in ogni caso, nonostante qualche numero decisamente meno brillante (“Slow Motion” pare una b-side di Tony Esposito mentre “Some Children” rilassa fino allo sbadiglio) sanno benissimo come congegnare un pezzo orecchiabile attaccandoci su un bel gancio e una bella melodia, per servirci un prodotto che alla fine è fresco e dissetante come una cedrata Tassoni.

Godetevelo ora, finchè siete in tempo. Che la bella stagione, si sa, vola via in un attimo.

72/100

(Antonio Giovinazzo)

15 giugno 2011

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