DAN DEACON, Bromst (Carpark Records, 2009)

Difficile trovare le parole giuste per quello che già sembra uno dei dischi più significativi del 2009. Iniziando dal protagonista di due piccoli capolavori in pochi anni, Dan Deacon è un simpatico ventottenne occhialuto e in carne cresciuto a Long Island. Laureatosi al New York Purchase College in composizione elettro-acustica e digitale, si trasferisce a Baltimora dove entra in contatto con il collettivo della Wham City, una sorta di factory di neo-freak, hipster e nerd che si dividono tra visual-art, scrittura creativa e performance musicali sperimentali. Otto album tra lp ed ep per lui, in soli tre anni, fino al sorprendente successo di “Spiderman Of The Rings” che oltre a rendere la sua proposta musicale meno estrema, contiene uno degli inni indie del decennio, la pazzesca “The Crystal Cat”. Dagli esordi di pura avanguardia elettronica tra function generator, onde sinusoidali ed effetti da far impallidire Jonny Greenwood, si è infine assestato in un’elettronica psichedelica e chiassosa che si sposa con trame spigolose dai tratti math.

Lui ha provato a definire questo genere “future shock”, etichetta che detta così sembra poco utile e indicativa per descrivere una formula così complessa. Quella di Dan Deacon è infatti un’improbabile orchestra post-moderna in cui si alternano e si scontrano percussioni nevrasteniche, andature tribali, synth impazziti, trip kraut-rock, suoni da jingle anni ’80, voci modificate epilettiche, accelerazioni hardcore, desolazioni spaziali, California degli anni ’60, bpm da techno-rave e molto altro. Non a caso dal vivo nei suoi imperdibili live in cui suona con le sue apparecchiature infernali in prima fila, ma dalla prospettiva del pubblico, ovvero al di qua della transenna, è accompagnato da un ensemble composto da una dozzina di matti che riescono a trovare un’incredibile equilibrio nel caotico degenero di strumenti e non-strumenti. Ensemble di cui si è servito per registrare “Bromst”. E dunque non solo improbabili marchingegni elettronici, pedali o basi, ma anche xilofoni, trombe, tromboni, chitarre.

Non ci si lasci ingannare dall’avvolgente crescendo emotivo di “Build Voice” che potrebbe rievocare Animal Collective o Ponytail per un’associazione geografica quanto per l’atmosfera da nuova psichedelia americana. I toni salgono subito con le abbaglianti deflagrazioni di “Red F”, tra synth ipnotici alla Battles e alienanti voce robotiche che assistono all’apocalisse dallo spazio. “Padding Ghost” ha un loop da videogame sparato come un proiettile in una traiettoria electro-clash verso il nulla mentre da una musicassetta col nastro andato a puttane riecheggia una cantilena anni ’50. Arriverebbe un’apparente pausa in “Snookered” nei suoi intermittenti synth che rendono l’atmosfera fredda e romantica, ma il tribale accompagnamento su cui si dispiega una melodia dolente e malinconica, prende il largo. Trasfigurandosi come in un incubo lisergico in uno spietato electro-punk con le immancabili voci in loop da posseduto. “Woof Woof” e “Of The Mountains” seguono in parte gli stessi schemi, passi pure la bestemmia “schemi”. Nella prima il vocoder effetto malato di mente dà dei toni trash a un theme per cartoon dai tratti naif. Nell’altra un canto tribale freakettone geneticamente modificato con effetti da nintendo e rumori di fondo vive sette minuti di sbalzi d’umore. La paranoia di “Surprise Stefani” è una panoramica metropolitana in cui i Tv On The Radio sono come risucchiati in fratture glitch, tra flash sintetici e ipnotici loop vocali in incastri ritmici incredibili. Con tanto di pioggia purificatrice di vibrafoni nella tregua finale.

Destrutturare e ricombinare costruendo una sintonia emotiva con l’ascoltatore malgrado “Bromst” possa dare l’idea di un disco di cas ino fine a se stesso per la sua incondizionata anarchia espressiva. Di cui il break “Wet Wings” è un esempio lampante, nei suoi dei minuti di nostalgia Woodstock in un canto a cappella che implode tra echi e riverberi. Sono i climax e l’aggressività del suono a rendere il disco fruibile (a tratti ballabile) nella sua apparente osticità. Un’intensa distorsione sensoriale che passa da fughe ambientali ad aperture epiche da Arcade Fire sotto acidi, a ubriacanti duetti tra piano e vibrafoni. Dal game-boy shoegaze di “Slow With Horns/Run For Your Life” alla filastrocca industrial “Baltihorse”. Figlia illegittima del classico “The Crystal Cat” con quelle vocine da cartoon travolte dai tipici groove assassini. Nella sinfonia rumorista “Get Older” sembra dirigere una delirante orchestra con LCD Soundsystem ed Animal Collective tra gli improbabili componenti. Tutto così improbabile e surreale nelle undici canzoni-non-canzoni di Dan Deacon da lasciare profondamente il segno.
Non sembra così fuoriluogo dunque la denominazione future shock. O quantomeno di shock, per l’annichilimento che si avverte nell’ascolto ad alto volume di questo “Bromst”. Colonna sonora ideale di fine decennio per le sue scelte stilistiche e per la capacità di modellare e deformare le sonorità più disparate in un’esaltante sintesi sonora proiettata in un futuro quantomai presente e attuale.

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