PSYCHIC ILLS, Mirror Eye (The Social Registry, 2009)

È vero che essere hipster vuol dire tutto e il contrario di tutto. E che gli Psychic Ills, newyorkesi dell’etichetta più psichedelica della Grande Mela, la Social Registry (Gang Gang Dance, Electroputas, Sian Alice Group, Blood On The Wall, Growing, Telepathe) ne sono uno degli esemplari musicali più rappresentativi. Ma era difficile aspettarsi una svolta così netta dopo il primo l’eccellente lp che aveva fatto seguito ai visionari esordi sulla breve distanza “Mental Violence I” (2004) e “Mental Violence II” (2005), raccolti nell’EP postumo del 2006 “Early Violence”. “Dins”, sempre nel 2006, con il suo improbabile filo conduttore freak-shoegaze tra le psichedelie dell’era-Spacemen 3 e dell’era-Animal Collective, li aveva fatti emergere come uno dei nomi più interessanti della scena di Brooklyn e oltre.
Ma oggi è come se si parlasse in parte di una nuova band. Il chitarrista, tastierista e compositore Tom Gluibizzi ha abbandonato il progetto lasciando alla new-entry Jimy Seitang e al vocalist Tres Warren l’arduo compito di rimpiazzarlo.

I dieci minuti di viaggio lisergico di “Mantis” sono già tutto un programma. Il giro di basso ipnotico e ossessivo della sempre decisiva Elizabeth Hart dipinge un’atmosfera spettrale. Le voci alienate che si rincorrono in delay appesantiscono l’aria progressivamente tracciata da striduli arpeggi alla messalina effetto-sitar. Ricorrenti in più momenti di questo “Mirror Eye”.
Nessuno scossone. Tutto procede con un’uniformità di toni anestetizzante fino alla fine del brano. Come in “Meta” che riprende gli arpeggi aggrovigliati del brano d’apertura e impiega la metà del tempo per scivolare fino alla conclusione senza strappi. Le chitarre di Warren sembrano aver accantonato del tutto distorsioni drone e riverberi vicini allo shoegaze scegliendo la strada delle svisate da jam-session. Anche il pezzo più vicino alle atmosfere di “Dins”, “Fingernail Tea” soffre di questo torpore da after-party nostalgico a base di luci basse, erba, candele, tappeti e LSD.
Così come “The Way Of” ideale versione estesa degli intermezzi che affioravano tra un brano e l’altro dell’illustre predecessore.
La lunga ideale jam è dunque guidata dalle ritmiche – percussioni, tamburelli, congas, loop – lasciando fuori i densi muri di chitarre e le svampite melodie vocali di “Dins”.

Il rumorismo delle fugaci “Sub Synth” e “Go To The Radio” prova a dare un tocco avant a un disco apparentemente proiettato in un vortice di allucinazioni Sixties. Una trance permanente fatta di percezioni a metà strada tra kosmische musik e world che si amalgamano senza un filo conduttore e senza una direzione precisa. Due degli spunti più interessanti, comunque. Insieme alla nebbiosa “Eyes Closed” che rievoca l’altro nome di punta della Social Registry, i Gang Gang Dance. Richiamati in parte anche nel brano che convince di più tra gli otto. Ovvero l’altra suite di dieci minuti, “I Take You As My Wife Again”, che si sgancia dopo cinque minuti dalle atmosfere freak ben rappresentate dalla copertina dell’album, con una torbida divagazione electro-industrial alla Black Dice riuscendo a prevalere sugli spunti neo-raga.

Psychic Ills: continuate pure a improvvisare, ma tornate alle droghe sintetiche.

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