Intervista a Cristina Donà

Siamo nel pieno della quinta stagione, il periodo che – nella medicina tradizionale cinese – coincide con il momento in cui il corpo si deve preparare all’arrivo dell’inverno. E “La quinta stagione” è anche il titolo del nuovo disco di Cristina Donà, appena uscito, a raccontare di periodi bui superati attaccandosi alla bellezza. L’abbiamo intervistata due mesi fa, quando era in programma un suo concerto assieme a Manuel Agnelli all’Esagono di Rubiera. Agnelli all’ultimo momento non si presentò, e ascoltammo Cristina tra il tintinnare decisamente poco discreto di piatti e forchette.

[questa intervista è la versione integrale di quella apparsa a mia firma su “Il Giornale di Reggio” il 24 luglio 2007. Ringraziamo la redazione per la disponibilità]

Un tuo concerto assieme a Manuel Agnelli è qualcosa che non accadeva da anni. Come mai proprio ora?

La proposta è arrivata da Valerio della Mescal, la mia vecchia etichetta, e ho accettato con piacere. E’ sempre bello suonare con Manuel, mi piace molto la sua voce e quello che fa. E, prima ancora di quello, c’è un grande affetto che ci lega: lui ha prodotto i miei primi due dischi, ha vestito le mie canzoni facendosi coinvolgere molto dal punto di vista emotivo, e questo per un produttore non é affatto scontato. È una cosa di cui ti rendi conto solo dopo, ma è raro trovare un produttore che non sia solo un tecnico, ma che partecipi emotivamente alla tua musica.

Avete già deciso la scaletta del concerto?

Ancora no: sappiamo solo che ci accompagneremo con chitarra e pianoforte. Faremo alcune canzoni che abbiamo già cantato assieme e alcune cover, come quella di “State trooper” di Springsteen. Sarebbe bellissimo se lo convincessi a cantare assieme “Once I was” di Tim Buckley, anche se non gliel’ho ancora chiesto… (ride, Ndr)

Che effetto fa tornare a Rubiera dopo averci trascorso più di un mese a registrare il nuovo album?

Sono molto contenta, il periodo passato qui è stato magico. C’è una storia particolare legata a quel vecchio caseificio a pianta esagonale trasformato in studio di registrazione e con la casa lì a fianco trasformata in ristorante e alloggio per i musicisti… è un posto semplicemente bellissimo, che permette a un’artista di concentrarsi al massimo, anche se sono tornata a casa con 4/5 chili in più, per colpa della cucina locale…(ride).

[e invece, niente “Once I was” e niente Manuel. Sul palco, solo lei e il polistrumentista Stefano Carrara, a ripercorrere “Tregua”, “Nido” e “Dove sei tu”. Non era ancora tempo di quinta stagione, né si poteva anticipare granchè delle nuove canzoni]

Sta per uscire “La quinta stagione”. Dato che non lo abbiamo ancora ascoltato (era luglio, NdR), chiedo a te di descriverlo…

Ci saranno dieci brani e, come ho già fatto per “Tregua”, ci sono musicisti diversi per ogni canzone. Alla batteria c’è stato spesso Piero Moncherisi, che ha già collaborato con la PFM, Daniele Silvestri e Max Gazzè: è molto bravo, e più adatto ai nuovi brani di Cristian Calcagnile, che comunque suona in una canzone. Cristian arriva dall’improvvisazione, dal free jazz, dalle avanguardie, e non era quello che cercavo questa volta.
Credo che “La quinta stagione” sia un disco molto semplice nella struttura, che punta di puù sulle canzoni. Se dovessi dare un giudizio dall’esterno, ne parlerei come di uno sviluppo di “Dove sei tu”.

La copertina è una strana unione di atmosfere orientali e di ricordi di Modigliani, con quel collo allungato…

Sia Modì che l’Oriente appartengono sia a me che al disco. Il collo lungo è stata un’idea del fotografo, ma mi ha fatto venire in mente altri ricordi…Io ho frequentato il liceo artistico prima di andare all’accademia di Brera, ma tutto quello che ho imparato di arte lo devo al mio professore delle medie. Io disegnavo, ed enfatizzavo molto il mio collo. Dicono che ognuno disegni se stesso in base a come si vede, ma il mio professore mi ha detto che il collo allungato era una caratteristica di Modì…e così l’ho scoperto.
Per quanto riguarda l’Oriente, è un richiamo dal titolo, che deriva dalla medicina tradizionale cinese.
Senza enfatizzare i significati, credo che il collo allungato rappresenti l’idea della testa che si stacca dalla piccola corazza che c’è sotto per guardare oltre…

Tra “Dove sei tu” e “La quinta stagione” c’è stato il tuo primo disco in inglese. Com’è andata quell’esperienza?

Un po’ come in Italia agli inizi, non mi sarei aspettata che andasse così. La stampa inglese ha avuto una risposta buonissima: le 4 stelle su “Mojo”, le recensioni su “Downbeat” e “Uncut”, lo showcase alla BBC su “London Live”, che è molto seguito…sono tutte esperienze dalle quali ho cercato di estraniarmi, perché se mi fossi resa conto di cosa stava accadendo, probabilmente sarei rimasta pietrificata.
Ho suonato un po’ dappertutto, prima di spalla a Ken Stringfellow e poi con i Nouvelle Vague, che sono stati una compagnia ottima.
È stata un’esperienza istruttiva: la vedo un po’ come una semina. Non ho venduto miliardi di copie, né era quello lo scopo. Il riscontro c’è stato, ma molto circoscritto.

“La quinta stagione” è anche il disco del passaggio allo spauracchio major…com’è andata?

È stato un passaggio assolutamente positivo, ma per me non ha cambiato molto: il management è rimasto alla Mescal, e quindi io ho avuto l’appoggio delle persone con cui ho lavorato per anni.
Forse non ho avuto pressioni perché, a luglio, la Emi è stata letteralmente decimata, e non hanno avuto tempo di preoccuparsi di me. Per il momento, ora, portiamo in giro in disco, anche in spazi che finora non ero riuscita nemmeno a sfiorare. E poi vedremo se ci sarà la possibilità di uscire anche all’estero…sarebbe bellissimo poter tornare fuori mantenendo le canzoni in italiano…

Passano periodi lunghi tra un tuo disco e l’altro. Cosa scatta nella tua testa quando tutto si sblocca, e sai di avere quello che cercavi?

Di solito mi aiutano le scadenze da rispettare! (ride, NdR) Scherzi a parte, ci sono dettagli che arrivano in alcuni momenti, e tu sai che hanno qualcosa in più rispetto agli altri. Alla fine, ogni volta si viene a creare quasi un concept. É successo così soprattutto per gli ultimi due album: le canzoni nascono in un periodo molto circoscritto, alla fine.