COLLEEN, Les ondes silencieuses (Leaf / Wide, 2007)

“Io la musica son, ch’ai dolci accenti so far tranquillo ogni turbato core, et or’ di nobil ira et or’ d’amore poss’infiammar le più gelate menti”: è la stessa Cecile Schott, in arte Colleen, a citare questo passo dell’”Orfeo” di Monteverdi dalle pagine del suo sito, e non è un caso: dopo le architetture di loop dell’esordio “Everyone alive wants answers” e il successivo cammino verso un suono sempre più naturale, questo “Les ondes silencieuses” è il disco dell’innamoramento completo verso suoni provenienti da secoli fa.
Non è una novità che, alla Leaf, la musica classica sia una passione condivisa: basti ascoltare i dischi di Murcof per rendersene conto, tutti tesi come sono a una classicità fatta di silicio; ma questi nove brani della compositrice francese spostano più il là il bersaglio, a unire suoni tardo-rinascimentali a strutture derivate dal minimalismo più dolce.

Filologico al punto da affidare la metà del disco a uno strumento del Sedicesimo secolo come la viola da gamba, “Les ondes silencieuses” è contemplativo, fatto di silenzi e di ripetizioni di brevi cellule sonore; corde e legni sono protagonisti assoluti, e Colleen è ben attenta che nessuno prevalga sull’altro, lasciando a un solo strumento la scena di ogni brano: le architetture più complesse sono quelle affidate a strumenti più attuali, come il clarinetto e la chitarra classica che si cercano in una “Sun against my eyes” ben più che debitrice ad Arvo Pärt.

“Les ondes silencieuses” è un disco senz’altro affascinante (come del resto lo è la splendida immagine di copertina), capace di piegare dolcemente l’orecchio dell’ascoltatore a suoni a cui non è abituato (il timbro scuro e stranamente melodioso della viola da gamba che accoglie l’uditorio in “This place in time”, la spinetta in “Le labyrinthe”) ma che, onestamente, sfiorisce dopo pochi ascolti: è vero che la noia non è un buon metro di giudizio per la musica minimalista, basata com’è sulla ripetizione, ma è comunque un sentimento che affiora spesso tra queste note.

E presto l’incanto dei primi ascolti, e il fiato trattenuto ad assaporare i silenzi, si trasforma in una vaga attenzione a quella che è diventata una musica di sottofondo nemmeno tanto brillante.

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