GRAZIANO ROMANI, Confessions Boulevard (Freedom Rain, 2006)

Chi si ricorda dei Rocking Chairs? Lo chiedo a voi, perché io ero in fasce (eppure me li ricordo). Chi sa dell’esistenza di Graziano Romani? Lo chiedo a tutti, conscio di non ricevere molte risposte, soprattutto tra i miei coetanei.

C’è gente che, ignorando deliberatamente il fatto che tutti la ignorino, riesce a continuare per la propria strada, senza compromessi né peraltro inversioni di marcia. Sono ben sette gli album che separano l’oggi del cantautore emiliano dal suo passato nelle Sedie A Dondolo, Sedie le cui schegge ora calcano ben altri palchi, con le tasche rigonfie, a fianco di un figuro che a quanto pare si è abituato bene ai compromessi (per chi non lo sapesse, si tratta di Ligabue…). Romani invece fonda un’etichetta tutta sua, sforna un nuovo album solista e invita due snobbati peggio di lui come Dirk Hamilton e Brando a cantarci dentro.

Non è però soltanto l’onestà e la coerenza del personaggio a colpire, le canzoni ci sono, eccome. Esemplari in questo senso una titletrack imponente anche nella sua versione reprise solo voce e piano e le ballate “The most crucial enemy” e “Turning another page”. Aggiungere al tutto una band splendidamente funzionale e dal tocco americanissimo, fiati e armonica a condire il tutto.

Come dicevo, niente inversioni di marcia: solita voce rocciosa, solito cantautorato dai riferimenti precisissimi e saldi, tutti d’oltreoceano. Non che l’ovvietà la faccia da padrona, tutt’altro, però la stima per l’uomo incide fortemente sulla valutazione, tanto da rendere quasi impossibile uno sguardo obiettivo e imparziale. Only for fans, magari, ma ciò non vuol dire che scoprire ed apprezzare Graziano Romani a partire da questo disco sia impossibile.

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