THE DELAYS, You See Colours (Rough Trade / Self, 2006)

Alla luce di un esordio vieppiù convincente, vale a dire quel “Faded Seaside Glamour” del 2004, i Delays ritornano con un rinnovato carrozzone di canzoni. Il problema di questo gruppo è fondamentalmente la percentuale zuccherosa della voce di Greg Gilbert, uno di quei tizi che non riesci ad identificare soprattutto perché se non fosse per le note di copertina te lo immagineresti di un altro sesso. Escluso questo – anche se sopportare i primi fastidiosissimi secondi a cappella di “You and Me” è impresa dura anche per chi, come il sottoscritto, si nutre di zucchero filato da mattina a sera – devo dare a Cesare quel che gli appartiene. Perché i Delays ci sanno fare: costruiscono melodie accattivanti in canzoni dalla chiara, ed irresistibile, impronta jangle-pop venate dallo shoegaze meno intransigente.

Un po’ La’s e un po’ Housemartins da un lato, un po’ Slowdive e un po’ Ride dall’altro. Ne deriva un’opera seconda ancora abbastanza ingenua per risultare arrogante, ma non troppo da irritare. Insomma, ci sono delle cadute di stile un po’ clamorose in quanto a cattivo gusto (come la eco un po’ Mike Oldfield periodo “Moonlight Shadow” – argh! – di “This Town Religion”) compensate però da una manciata di brani decisamente azzecati: su tutti, “You and Me”, “Out of Nowhere” – quasi power pop – e i più ritmati “Valentine” e “Sink Like a Stone”, venati da accenti baggy. Un caleidoscopio di musica inglese allo stato puro, che ne prende i lati migliori senza essere smaccatamente citazionista e dimostrando una creatività che potrebbe anche sorprendere, per certi versi.

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